Il referendum del 10 settembre è stato una grande conquista: per la prima volta si è discusso – e si è votato – sull’unica, vera democrazia: quella diretta. E’ vero, la maggior parte dei vicentini – come i veneti, gli italiani, gli europei e gli ‘occidentali’ in genere – ha disertato l’appuntamento. La stragrande maggioranza dei cittadini (ma non tutti) preferisce la comodità e il disimpegno alla partecipazione e alla libertà di decidere da sé.
Il referendum del 10 settembre è stato una grande conquista: per la prima volta si è discusso – e si è votato – sull’unica, vera democrazia: quella diretta. E’ vero, la maggior parte dei vicentini – come i veneti, gli italiani, gli europei e gli ‘occidentali’ in genere – ha disertato l’appuntamento. La stragrande maggioranza dei cittadini (ma non tutti) preferisce la comodità e il disimpegno alla partecipazione e alla libertà di decidere da sé. E quindi l’87% dei vicentini aventi diritto al voto ha scelto di non scegliere. Perché assuefatti alla truffa dei rappresentanti che dicono di scegliere in nome loro e invece scelgono al posto loro. Questa è la democrazia rappresentativa. Ovvero il sistema della delega ai partiti: una delega in bianco che fa sentire cittadini responsabili perché si va a mettere una crocetta ogni cinque anni per le politiche e ogni quattro per le amministrative. E invece in questo modo, consegnando per intero la propria sovranità ai partiti, si è assolutamente irresponsabili: perché si evita di assumersi la responsabilità di decidere direttamente, col voto singolo, libero ed eguale – un voto locale, cioè espresso con cognizione di causa e affrancato così dal controllo d’opinione dei media, “braccio armato” delle oligarchie politiche ed economiche. I cittadini di Vicenza hanno confermato, in definitiva, che la moderna democrazia fondata sulla delega ha prodotto una maggioranza di sudditi che se ne fregano di partecipare in prima persona alle decisioni che li riguardano perché non vogliono responsabilità, non vogliono togliere tempo a ciò che più importa loro: lavorare, produrre, consumare (e crepare). E l’hanno fatto proprio facendo ciò che è più congeniale a chi è ormai abituato a lasciare in ostaggio i propri diritti alla partitocrazia: non andando a votare. Ma quegli 11 mila che al contrario si sono recati alle urne fanno parte di quella crescente “minoranza silenziosa” di gente stufa di questa sudditanza mascherata da libertà. Una minoranza di individui, uomini e donne, sempre più consapevoli, magari per ora solo inconsciamente, che, come sostiene Massimo Fini (www.massimofini.it), “la democrazia rappresentativa non è la democrazia, perchè in virtù della delega costituisce un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie: i partiti ed i loro apparati che opprimono l'individuo singolo, libero, che rifiuta queste appartenenze, questi umilianti infeudamenti, e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero. E che invece ne diventa invece la vittima designata”. I colpevoli di tutto ciò hanno un nome preciso che non va nascosto: i partiti. “I partiti non sono, come suol dirsi, l'essenza della democrazia: ne sono la fine. Sono essi che decidono non solo i candidati ma anche gli eletti: nel sistema proporzionale facendo blocco su questo o quel nome, mentre il voto del cittadino libero, proprio perchè tale, si disperde; nel maggioritario perchè gli eletti vengono direttamente calati dall'alto. Al cittadino non resta che la scelta dell'oligarchia dalla quale preferisce essere dominato e oppresso. Tutti noi cittadini sentiamo che non contiamo assolutamente nulla”. Tutti lo sentiamo ma solo alcuni, per il momento, trasformano questa sensazione in consapevolezza e azione. Ma siamo solo all’inizio: più il potere da nazionale diventa sovranazionale, più passa da centri visibili (Parlamento, istituzioni) a potentati autoreferenziali (banche, multinazionali), più risponde a logiche globali invece che locali – più la coscienza di essere ingranaggi di una gigantesca macchina senza più senso né controllo (la nostra way of life “democratica”, capitalistica, consumistica, globalizzata) si farà strada. E quegli 11 mila sono i primi ad averlo capito. Perciò l’esito del referendum è stato comunque un successo, in un contesto d’impegno civile e politico come quello vicentino che non si può certo definire particolarmente vivo. Quel 13% di votanti è una buona base di partenza per continuare a diffondere la cultura e la pratica della partecipazione: e per questo invitiamo tutte le forze interessate a sostenere il comitato Più Democrazia nella battaglia che comincia adesso. Una battaglia che noi di Movimento Zero (www.movimentozero.it) contribuiremo a combattere sul piano culturale. Cogliamo l’occasione, infine, per ringraziare il comitato promotore per la passione, la grinta e l’impeccabile organizzazione che hanno dimostrato – e a cui abbiamo volentieri aggiunto il nostro aiuto – pur nella povertà dei mezzi e nell’ostilità generale di media e partiti locali. Fra i quali, è vero, ci sono state felici eccezioni: tra i primi Il Vicenza e Vicenza Più, fra i secondi i Verdi, la lista civica Vicenza Capoluogo, i due partiti comunisti e la parte più avvertita dei Ds. Nonché Azione Sociale. Ma ciò non toglie nulla al fatto incontestabile che i cittadini, se vogliono veramente essere tali, devono lottare per una democrazia diretta locale in modo da non farsi manipolare dai primi e asservire dai secondi.
Filippo Trivellin
Presidente Gruppo Vicenza Movimento Zero