Cade il mito del progresso continuo: i figli guadagnano meno dei padri

New York – Tra gli ingredienti del sogno americano ce n´era uno irrinunciabile: la certezza dei padri che i loro figli avrebbero avuto una vita migliore. Ora il meccanismo si è rotto, i nuovi trentenni, per la prima volta, guadagnano meno dei loro genitori e la fiducia nel futuro si sta trasformando in pessimismo e in incertezza.  Il patto sociale degli Stati Uniti si reggeva sulla scommessa di un avvenire migliore, sulla fiducia nella mobilità sociale. Ora non solo l´ascensore sociale sembra essersi fermato, lasciando il diritto di abitare ai piani più alti a chi lo eredita per nascita, ma comincia perfino a scendere, portando con sé la grande pancia della società.

Uno studio messo a punto dai maggiori «pensatoi» americani ci racconta che nel 2004 un trentenne ha guadagnato il 12 per cento meno del padre nel 1974. La differenza tra i loro salari, fatte le correzioni per l´inflazione, è di oltre 5.000 dollari l´anno: 40.210 a metà degli anni Settanta contro 35.010 di oggi. Ancora dieci anni fa il confronto tra un genitore e un figlio, che avevano trent´anni rispettivamente nel 1964 e nel 1994, indicava una crescita del cinque per cento in favore del giovane. E già questo dato indicava una frenata, se si pensa che tra il 1947 e il 1974 la produttività, la paga oraria e il guadagno medio di una famiglia erano raddoppiati.

I nuovi scenari sembrano indicare che la regola non scritta nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, per cui ogni generazione stava meglio di quella precedente, è tramontata, ma non certo per scarso impegno dei nuovi lavoratori, visto che negli ultimi cinque anni la produttività è cresciuta del 16 per cento mentre gli stipendi sono scesi del 2 per cento. Lo studio ha il pregio di essere nato dalla collaborazione tra le più importanti fondazioni americane, sia conservatrici sia liberali, tra cui il Pew Charitable Trusts, la Brookings Institution, la Heritage Foundation e l´American Enterprise Institute, l´analisi quindi non può essere accusata di finalità politiche contingenti. Quella presentata ieri è la fotografia di una situazione nuova e sarà il punto di partenza di una serie di approfondimenti che dovranno analizzare le motivazioni per le quali le nuove generazioni non hanno le certezze di miglioramento del tenore di vita che avevano quelle precedenti. Tra le spiegazioni possibili avanzate ieri dal Wall Street Journal che ha presentato lo studio, la prima è che negli Stati Uniti sono cresciute le disuguaglianze nella distribuzione del reddito, con una crescita dei guadagni per la fascia più alta della società e uno scivolamento delle classi medie; c´è poi da tener presente un rallentamento dei tassi di crescita dell´economia e ci sono le sfide dell´immigrazione ma soprattutto della globalizzazione.

Secondo Isabel Sawhill, della Brookings Institution, è anche possibile che l´ingresso delle donne nel mondo del lavoro abbia ridotto i guadagni degli uomini. La ricerca infatti è fatta solo sui salari della popolazione maschile, perché solo cosi è stato possibile fare comparazioni credibili con il mercato del lavoro degli Anni Sessanta e Settanta. È da sottolineare però che se gli stipendi degli uomini calano, aumenta il reddito complessivo delle famiglie, grazie proprio al fatto che con il lavoro femminile sono aumentate le entrate. L´obiettivo degli studi messi in campo sarà quello di valutare quanto pesino l´educazione, la razza, il genere e l´immigrazione nella mobilità sociale, un tema affrontato e messo a fuoco prima di tutti dal New York Times, in una lunga inchiesta poi diventata un libro sulle classi sociali, pubblicato meno di tre anni fa in cui si dimostrò che il grande mito della mobilità sociale americana, della possibilità di realizzare il sogno in una generazione era al tramonto. Per emergere oggi è necessario avere una formazione molto qualificata, aver accesso alle migliori scuole, alle tecnologie, e questo è sempre meno nelle possibilità di tutti e favorisce chi proviene da famiglie agiate ed è in grado di viaggiare, frequentare le migliori università, studiare lingue straniere fin da ragazzo. Così passare nella parte alta della società, crescere, è sempre più difficile.

E i giovani americani non se la devono più vedere solo con i loro concittadini ma anche con i loro coetanei indiani, cinesi o vietnamiti. L´editorialista del New York Times Thomas Friedman, nel suo libro dedicato ai temi della globalizzazione dal titolo «Il mondo è piatto», spiega come un neolaureato indiano oggi sia in grado di fare lo stesso lavoro di un ragazzo statunitense nella stessa lingua e chiedendo un salario nettamente inferiore. E grazie alle tecnologie, lavori di alto livello, e non solo le catene di montaggio delle automobili, si volatilizzano: le radiografie di un paziente dell´Arizona possono essere visionate dall´altra parte del mondo, così le tasse di Manhattan possono essere fatte a Bombay, o l´editing di un video a Shanghai. Un allarme condiviso da Alan Blinder, economista di Princeton, secondo cui in un decennio saranno a rischio 40 milioni di posti di lavoro americani, che se ne andranno soprattutto in Oriente: non solo contabili e analisti finanziari, ma anche graphic designer, matematici e microbiologi. Sarà un grande tema di campagna elettorale, e sarà un cruccio per il prossimo presidente, perché il Paese, lo ha ricordato anche il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, si fonda sull´idea che ogni individuo possa avere l´opportunità di avere successo grazie ai suoi sforzi, allo studio e alla sua creatività. Ma se gli ingredienti del sogno diventano inaccessibili, allora il sogno è destinato a scomparire.

La Repubblica 26-05-2007

Redazione