Enrico Caprara – Contro quale Modernità

Modernità, come ha scritto Zigmunt Bauman, significa molte cose. Per alcuni, ad esempio, la Modernità è il venir meno della Tradizione (con la "T" maiuscola), ovvero la perdita di credenza, e di osservanza, rispetto al complesso di rappresentazioni e norme di comportamento che costituirebbero la "consegna" ( "consegnare" in latino è "tràdere", da cui "tradizione) originaria di Verità fatta agli uomini. Altri vedono la Modernità, più specificamente, come la fase storica in cui è stata abbandonata l' organizzazione sociale di tipo gerarchico a priori, passando ad una organizzazione dove chiunque (almeno in linea teorica) può raggiungere per proprio merito qualunque posizione sociale. Altri ancora, intendono la Modernità come venuta ad attuarsi quando l' Economia si determina come elemento centrale ed indipendente, al posto di una produzione-distribuzione dei beni che avviene nell' ambito di rapporti sociali complessivamente integrati.  Prescindendo – per il momento – da valutazioni specifiche, si può mettere in evidenza una caratteristica di queste interpretazioni: la Modernità viene indicata come sopravvenienza, come l' "altro" rispetto a ciò che è da considerarsi primariamente e originariamente. C' è però un' altra prospettiva secondo cui vedere la questione – ed è quella a mio parere più opportuna da assumere: la Modernità è il nostro mondo e il nostro tempo, poiché il nostro mondo e tempo si sono dichiarati e celebrati tali.

Essere contro

Qui non si tratta, però, solamente di capire e approfondire cosa sia la Modernità. Il contro che dà inizio al titolo già preannuncia ed esprime il giudizio di valore. Nel nostro mondo e nel nostro tempo – nella Modernità – sembra che non ci si stia bene. Ed il non-stare-bene della persona, quando non si abbia una prospettiva totalitaria, è ciò che contraddistingue la negatività di una situazione rispetto alla sua positività. Una prospettiva totalitaria: ovvero una prospettiva per cui "il Tutto è superiore alla Parte"; e perciò la Parte (la persona) è tenuta a considerare non significativo il proprio sentire bene o male, essendo il bene attribuzione propria solamente del Tutto, che può perseguire questa condizione nell' indifferenza e anche a discapito delle Parti.
Ora – quanto al bene o male – ciascuno di noi può, evidentemente, sentire per sé. In una certa situazione – o più in generale, riguardo un certo modo di condurre l' esistenza – ci si può guardare dentro e stabilire, con buona certezza, se vi sia benessere oppure insoddisfazione. All' interiorità degli altri non si può invece pervenire. E' possibile, tuttavia, almeno avvicinarsi. Per questo motivo, per ipotizzare con avvedutezza cosa provino le altre persone, io scruto le facce dei passeggeri, all' inizio della giornata in metropolitana, cerco di recuperare frammenti dei loro discorsi…
La prima mattina è, per l' uomo contemporaneo, un momento particolare e delicato. La notte, i sogni, hanno "sgomberato la mente", ponendolo in una maggior lucidità di coscienza – condizione che, se vogliamo paradossalmente, determina un più marcato turbamento. I visi della mattina hanno un' espressione, le parole un tono, che potrebbero venir riassunte con il termine perplessità. Questa perplessità verso la propria giornata ed esistenza, nella maggioranza dei casi, viene fuggita piuttosto che affrontata. Per fuggirla, un trucco è nello spostare l' attenzione dal sentimento interiore – spiacevole, disturbante – alla "positività" del vivere, ovvero ai fatti di per sé, alle "cose concrete", agli obiettivi da perseguire ed alle tecniche adeguate per raggiungerli. La giornata e la vita come uno scorrere di "progetti" che rimandandosi l' un l' altro riempiano…
Così, durante il corso della giornata, il tono dell' esistenza pare elevarsi. Le persone diventano via via sempre più loquaci. Anche troppo loquaci. E' un parlare che sa di sfogo, per certi versi, e di un cercare l' auto-convincimento per altri versi. Se parlano allegramente, è di un' allegria sopra le righe.
Ad ogni modo, dicevo, questo è un "andare dietro alle apparenze altrui" mediante la propria sensibilità. Il metodo e i risultati possono certo subire contestazioni.
Tuttavia, sembrerebbero esserci anche delle evidenze oggettive a sostegno. A parte la circostanza, intanto, che queste situazioni e condizioni possiamo magari averle sperimentate su noi stessi. E per quanto riguardi poi dei "dati di fatto" risulta chiaramente visibile – o comunque riscontrato da statistiche – il consumo sempre più cospicuo di sostanze stimolanti (a cui fa da |pendant| quello di sostanze calmanti…) Ciò che raggiunge la più grande forza di impatto, e diciamo anche di significato, con quei celebrati personaggi dello sport, dello spettacolo, della politica, i quali dovrebbero trovarsi al culmine delle possibilità positive e della soddisfazione, e che si rivelano essere in realtà dei poveri cocainomani.
In certi "segnali" ci si imbatte comunque assai facilmente, avendo a che fare con individui di qualunque posizione sociale, anche molto comune. Per esempio, la manifestazione di pensieri e progetti riguardo la "prossima vacanza". Ciò ha tutta l' aria di essere un lenimento e una lunsinga indispensabile.
Ma, in attesa della vacanza, la compensazione di ogni giorno può ritrovarsi nella "serata". Si direbbe che l' uomo contemporaneo, dopo essersi contrariato per otto o dieci ore con la propria profssione, abbia la necessità ineludibile di "scaricarsi". Ed è nella "serata" che quel crescendo di vitalità e brio – secondo me forzato e paradossale – raggiunge il suo acme. Se nella giornata cresce un' allegrezza poco spontanea, con la serata diviene ciò che ha il tratto di una "euforia della disperazione", la quale può ritrovarsi ed essere partecipata passivamente in certi talk-show televisivi o programmi d' intrattenimento, ma che da alcuni viene vissuta più personalmente, magari in qualche locale notturno "alla gran moda", dove la messa in scena del divertimento si ribalta, spesso, all' uscita ed al termine di queste serate, nel malessere del proprio squallore e del non-senso.

– Considerazioni attuali sulla parola Modernità

Posto, dunque, che la Modernità sia "il nostro mondo e il nostro tempo" – poiché il nostro mondo e tempo si sono dichiarati e celebrati tali – e che nella Modernità ci si stia male, si tratterebbe di prendere in considerazione ora questo stato di Modernità, cercando di caratterizzarlo abbastanza significativamente anche se in modo piuttosto sintetico.
Una via potrebbe essere, per questo scopo, quella di esaminare la parola stessa che noi usiamo: "Modernità". Scrive un vocabolario di questa parola: "Aspetto e spirito nuovo della civiltà, nuovo modo di vivere e pensare conformemente alle condizioni, agli studi, alle aspirazioni ed esigenze odierne." Non si dice granchè. Sarà il caso, però, di tener conto della presenza e ripetizione del termine "nuovo".
Proviamo a considerare, allora, la parola "Modernità" relativamente ad un ambito che sembrerebbe poter essere di particolare significato: l' ambito cioè di riferimento alla storia delle vicende umane, in generale e nei vari campi di attività specificamente. Quando, cioè, in riferimento a quale fase storica, viene utilizzato il termine "moderno"?
Nel senso più generalmente storico, l' età moderna viene fatta cominciare nel 1492, anno della scoperta delle Americhe. Qui rimane evidenziato un momento di espansione, geografica, a cui seguirà nel XVI secolo una grande espansione economica, suscitata dalle materie prime di importazione americana, in particolar modo i metalli preziosi.
Qualche esempio di utilizzo più specifico del termine: in filosofia, la Modernità viene fatta cominciare con Cartesio, quindi con un pensiero razionalista e meccanicista, un pensiero che guarda la realtà in termini matematici e – almeno ad un certo livello – materialistici. Analogamente, e contemporaneamente, con Galileo nasce la Scienza Moderna, fondata sull' osservazione della realtà, la sperimentazione e la formulazione di leggi logico-matematiche.
Nell' arte figurativo-plastica, cioè la pittura e la scultura, si ha Modernità dalla fine del XIX secolo, con il superamento della rappresentazione o imitazione naturalistica, e la tendenza a creare secondo nuove modalità e forme liberamente determinate.
L' architettura è moderna quando inizia ad avere importanza primaria la funzionalità della costruzione (all' inizio del XX secolo).

Veniamo adesso ad un' ulteriore prospettiva di esame. Proviamo a chiederci: l' espressione del termine "moderno" nel nostro parlare comune, quali idee immediatamente associa? La risposta potrebbe essere che al termine "moderno/Modernità" sono implicate le idee di funzionalità, razionalità, efficienza… o anche dinamismo, attivismo… ed anche spigliatezza, assenza di vincoli…

Questo insieme di indicazioni potremmo ritenerlo, forse, abbastanza significativo per un quadro generale sulla "Modernità" – nel senso che io ho inteso, ovvero di ciò che oggi si mostra e si definisce come Modernità.
Si tratterebbe, a questo punto, di poter operare una sintesi, trovando un numero limitato di riferimenti da associare all' idea di Modernità.

E' questo un passaggio che io ritengo fattibile – intendo dichiararlo subito – per una via diciamo così "intuitiva". E' inutile secondo me cercare di dimostrare che la Modernità risulti definita dalle tali e tali altre categorie. Si tratta, piuttosto, di azzardare a priori – secondo elaborazioni psichiche un po' misteriose – certe ipotesi, e verificare poi che funzionino.
Io ho azzardato – e per quanto mi riguarda, verificato una loro tenuta di significatività – che la Modernità può essere definita da una triade di tendenze, orientamenti, valori esistenziali, che sono la quantità, il mutamento, la materialità; secondo un' altra prospettiva, può risultare significativa una triade di idee-guida – o meglio dire forse complessi di idee – che si sono assestate nella cultura contemporanea, e cioè l' Utilitarismo, il Progressismo, lo Scientismo.

– Modernità come tensione alla quantità, al mutamento, alla materialità –

Sulla tendenza alla quantità e al mutamento della nostra civiltà attuale, non è probabilmente il caso di avanzare molti argomenti e considerazioni; è un' evidenza che riscontriamo quotidianamente, sia negli aspetti comuni della nostra esistenza – la pletora delle tipologie di merci che ritroviamo in vendita, il susseguirsi sempre più rapido delle mode, le sempre maggiori e più frequenti costruzioni e ricostruzioni sul territorio… – sia riguardo alle nozioni culturali più ricorrenti, come "crescita economica", o "innovazione tecnologica"…

Può essere opportuna, invece, qualche precisazione sulla tendenza alla materialità. E' un termine, anzitutto, che si può vedere in contrapposizione a quello di spiritualità. Ora, l' aver a che fare con l' idea di spiritualità – in quanto opposta a quella di materialità – non implica di doversi addentrare in tematiche propriamente religiose. La questione può anche essere posta nel seguente modo: materialità e spiritualità sono due differenti atteggiamenti umani del sentire. Nell' atteggiamento di materialità, il beneficio che si è in grado di percepire rimane strettamente legato alla maggior concretezza, quantità, durata, delle cose o esperienze con cui ci si relaziona; nell' atteggiamento di spiritualità vi può essere un beneficio che non dipende da quel genere di fattori.
In questo senso, la contrapposizione materialità/spiritualità richiama la contrapposizione superficialità/profondità. Lo Spirito cioè come "sentire profondamente" da parte dell' essere umano. Ed il "sentire profondo" riuscirà portatore di più cospicuo ed autentico beneficio rispetto al "sentire superficiale". Potendo giungere infatti alla profondità della coscienza, si ha disponibile tutta la positività di cose pure poche e semplici, e finanche quella che si potrebbe definire una "positività in sè", cioè un benessere che non dipende da cose esteriori, ma dal solo fatto di ritrovarsi alla propria dimensione più autentica. E' questo, forse, che si ritrova nella famosa massima evangelica dal Discorso della Montagna, la quale potrebbe risultare altrimenti di una certa oscurità: "Beati i poveri in spirito". Ovvero: coloro che, pur "poveri" materialmente, siano "in spirito", "nello spirito" (alla profondità di coscienza) partecipano di un grande bene.
Con la tensione moderna alla materialità-superficialità si resta impediti da questa beatitudine.

– Le moderne ideologie dell' Utilitarismo, del Progressismo, dello Scientismo –

Il complesso di idee – che oggi sembra vigente nella nostra cultura – secondo cui è data sostanzialmente una proporzionalità, diretta e inevitabile, tra utilizzo o possesso di cose concrete, materiali (o compimento di esperienze in quel senso) e benessere dell' uomo, è ciò che può ritenersi opportuno chiamare Utilitarismo. Secondo questa idea utilitaristica, inoltre, il benessere può sempre essere aumentato con un aumento di quantità materiale. E' una mentalità che si trova splendidamente – per un verso, spaventosamente per un altro – espressa dall' economista del XIX secolo Jean-Baptiste de Say: – "La felicità di un individuo è proporzionale alla quantità di bisogni che egli può soddisfare, ovvero, la quantità di bisogni che un individuo può soddisfare è a sua volta proporzionale alla quantità dei prodotti di cui può disporre; di conseguenza la felicità di un individuo è proporzionale alla quantità dei prodotti di cui può disporre."[1] E' la mentalità che si ritrova al fondamento della moderna concezione di Economia, secondo la massima per cui "i bisogni sono illimitati, le risorse in ogni modo scarse…"

La Modernità ha poi, come sappiamo bene, il "mito" del Progresso. Ciascuno di noi deve progredire, la Nazione o l' Umanità complessivamente – cosa più importante ancora – devono progredire. Ora, prima di inoltrarsi in critiche all' idea di Progresso, sarà bene chiarire cosa si voglia intendere con quel termine. Perchè nel caso si volesse significare il passaggio da una condizione di malessere ad una di benessere (malessere/benessere come sentire autentico e profondo della persona…) una posizione anti-progressista verrebbe a coincidere con il puro masochismo.
Il Progressismo della Modernità è però altra cosa. Qui il Progresso non si misura con il proprio sentire, ma secondo "dati di fatto". Vi è comunque Progresso quando la realtà risulta caratterizzata da una maggior quantità di cose, quando aumentano le possibilità di scelta. Bisognerà inevitabilmente procedere dal semplice al complesso, e in questa direzione ciò che è in atto deve comunque essere superato. Chi si trovasse anche in una condizione, addirittura, di beatitudine, non sarebbe perciò esonerato dal progredire, ma tenuto a ricercare comunque una maggior beatitudine, che, nella prospettiva della Modernità, sarebbe sempre ottenibile, mediante uno sviluppo concreto e quantitativo della realtà.

Per questa via rimane allora obbligata l' insoddisfazione, il dispregio per quel che vi è stato e in definitiva per quel che vi è – quindi anche per quel che si è – poichè tutto deve essere superato dal "sempre nuovo", che sulla base di quella stessa idea di Progresso sarà tuttavia "sempre insoddisfacente".
Quale sia l' origine di questo dovere del Progresso, l' ideologia della Modernità non lo indica compiutamente. Rimane singolare come l' Illuminismo, venuto a sgomberare il campo dai pregiudizi, abbia fondato il pregiudizio del Progresso. Scrive infatti il filosofo Immanuel Kant in Risposta alla domanda: che cos' è l' illuminismo?: – "la natura umana, la cui originaria destinazione consiste proprio in questo progredire". E non ritiene di dover aggiungere altro.

Sull' ideologia del Progresso un' ultima considerazione: c' è un elemento che, nell' ambito di questa ideologia, credo debba ritenersi di particolare importanza, e cioè la concezione di tempo lineare infinito, che prende il posto della concezione antica di tempo ciclico. Questo avviene attraverso la mediazione del tempo lineare finito propria del Cristianesimo; una concezione del tempo – lineare e finito – che non ammette "ritorni" e "percorsi", ma indica però una fine ultima, la cui modalità di compimento è già prevista (Apocalisse di S. Giovanni). L' antico ciclo cosmico è invece un "ripetersi dell' uguale" (o forse meglio, del simile), secondo un compiersi circolare, percorsivo, del tempo e degli avvenimenti. Il ciclo cosmico è una struttura che porta, indubbiamente – rispetto al tempo lineare, specie a quello infinito – un benefico atteggiamento di accettazione, almeno parziale, della realtà così com' è. Inutile darsi un gran daffare, perchè un certo andamento di massima è già stabilito. Il percorso salirà fino all' apogeo, passando per punti e zone previsti e caratterizzati, poi ci sarà inevitabilmente il declino, sino al "grado zero" della "morte e rinascita". Il tempo lineare ha come unico carattere, invece, quello di progredire, e sembra obbligarci a progredire continuamente con lui.

A partire dal XVII secolo, con la nascita della Scienza Moderna, la conoscenza della Natura è ritenuta possibile solo per via di fatti sperimentati ed organizzati in forma logico-matematica. I fatti e la forma logico-matematica vengono così a costituirne la conoscenza oggettiva ed universale.
Proseguendo nel suo cammino, la cultura della Modernità – o almeno, la parte preponderante di essa – ritiene di poter estendere il campo della Scienza, dalla Natura in senso stretto, all' intera realtà, compresa quella propriamente umana, mediante l' articolazione e lo sviluppo delle varie Scienze specifiche (Fisica, Biologia, Psicologia, Sociologia…) Nella prospettiva dello Scientismo tutto diviene quantificabile, misurabile, prevedibile, oggettivabile… E allora, come scrive Umberto Galimberti: -"[Gli individui] Impareranno cos' è normalità e follia dallo psichiatra, cos' è salute e malattia dalla clinica, cos' è sessualità e perversione dalla psicanalisi, cos' è ordine e disordine dalle scienze sociali…"[2]

Credo sia piuttosto interessante notare, riguardo alla prospettiva dello Scientismo, come essa si pretenda rispetto all' esistenza umana in questa posizione di inevitabilità, valore costrittivo dei propri assunti, e ciò benchè nell' ambiente stesso della cultura scientifica, e oramai da tempo, ci si interroghi e si abbiano perplessità circa l' assolutezza, l' oggettività del sapere scientifico; perplessità e interrogazioni che paiono quantomeno oneste, di fronte per esempio alle profonde revisioni che la Scienza ha dovuto approntarsi, anche riguardo ai propri fondamenti (dalla concezione della Fisica corpuscolare di Galileo e Newton, alla meccanica ondulatoria di Maxwell, alla Teoria della Relatività einsteiniana, alla meccanica quantistica di Planck…)
Ma questo si direbbe non preoccupare più di tanto lo Scientismo. Se pure non vi sia assolutezza nella Scienza – sembra essere una risposta scientistica – i suoi assunti esprimono comunque la maggior verità esprimibile al momento, per il che dovrebbero considerarsi obbliganti; mentre dovrebbe considerarsi invece nell' assurdo, secondo lo Scientismo, chi prendesse a riferimento altre istanze – le quali, andrebbe però notato, domani potrebbero essere fatte proprie, in una delle sue periodiche revisioni, dalla Scienza stessa.
La riflessione, ad ogni modo, se i prodotti della ricerca scientifica possano non avere carattere di assolutezza, di oggettività sovrastorica, riguarda più che altro delle élite nell' ambiente scientifico o comunque culturale. Le grandi maggioranze mostrano invece, ancora, uno stupefacente totale affidamento alle istanze scientifiche, che non sembra rimanere scalfito dalle periodiche smentite e rifacimenti di queste verità. Ci si potrebbe domandare, insomma, che diavolo di "religione" sia questa della Scienza, i cui "fedeli" non battono ciglio al variare continuo dei sacri testi, e mantengono ferma al di là di tutto la propria devozione…

Può essere opportuno ancora un argomento, riguardante una relazione tra l' ideologia dello Scientismo e l' ideologia dell' Utilitarismo di cui si è detto. Questa relazione consiste, almeno per un certo verso, in una opposizione.
L' Utilitarismo – nel senso che io ho ritenuto di considerare – è una prospettiva del singolo, il quale, praticando l' Utilitarismo, cerca di avere per sè quanto più gli sia possibile; è un atteggiamento che per sua natura rifiuta limitazioni, regole; il singolo è centrato sul proprio interesse e antagonista verso gli altri. La posizione utilitaristica è una posizione di egoismo. (E' vero, naturalmente, che, secondo una certa interpretazione dell' idea di Utilitarismo, l' egoismo di ciascuno finirebbe col portare vantaggio a tutti; ma questa è una prospettiva di una tale ingenuità – o magari, di una tale furbizia… – e così facilmente smentita dall' osservazione del mondo, che io procedo avendola solamente accennata.)
D' altro canto, invece, l' idea di Scientismo delinea un contesto di oggettività. La Scienza, nelle sue varie articolazioni, pretende affermare verità che sono universali, spiegano la Natura e l' Uomo, avendo titolo perciò a regolare tutti i comportamenti. Si mostra così la contrapposizione di cui dicevo, fra una tendenza alla singolarità individuale e una limitazione oggettiva alla singolarità. Ciò nonostante, sia l' ideologia dell' Utilitarismo, sia quella dello Scientismo, si mostrano ben presenti nella cultura della nostra civiltà; si tratterebbe, allora, di verificare se una delle due può dirsi la più significativa, nucleare, ponendo l' altra in subordine.
Quel che sembrerebbe forse, ad una prima considerazione, è che l' aspetto dell' Utilitarismo marchi più profondamente, rispetto a quello dello Scientismo, la cultura e la civiltà moderna. L' aspetto del "proprio interesse" è ciò che si direbbe muovere gli attori sociali, determinando gli avvenimenti anche ai livelli più elevati. Lo Scientismo potrebbe ritenersi, in questa ottica, come uno strumento dell' Utilitarismo. La volontà di possesso materiale, quantitativo, il vantaggio desiderato per sè, comporta infatti la necessità del dominio sopra gli altri uomini. In questo senso, risulterebbe di straordinaria efficacia, per un gruppo dominante, poter imporre coercizioni ai propri dominati sulla base di un complesso di "verità oggettive", regolatrici dei comportamenti, le quali sarebbero state ricavate dalla realtà stessa, risultando perciò inappellabili e insindacabili.
Ma può ritrovarsi – quanto alla relazione Utilitarismo-Scientismo, ed alla priorità dell' una cosa sull' altra – anche una diversa prospettiva, più sottile ma tuttavia realistica. Secondo quest' altro punto di vista, l' andamento delle cose verrebbe determinato in primis da un apparato di fatto a carattere scientifico-tecnologico, le cui "verità" e indicazioni di necessità obbligherebbero, in definitiva, chiunque a muoversi entro schemi dati – anche quegli attori sociali che, nel porre uno sguardo più concreto sul mondo, appaiono come i determinatori effettivi del procedere delle cose.
Nel contrapporsi – secondo le modalità che ho espresso – ambiguo delle ideologie di Utilitarismo e di Scientismo, potrebbe forse trovarsi rappresentata la dialettica pesonalità/impersonalità che è propria del Potere.

– Da dove siamo arrivati alla Modernità –

Il fatto di individuare la Modernità come "il nostro mondo ed il nostro tempo", di partire cioè dalla considerazione di quel che abbiamo di fronte ora, non esclude evidentemente l' interesse e l' utilità di poter rintracciare, nel corso della Storia, certi passi, certe tappe significative, che hanno determinato infine la civiltà che noi oggi viviamo.

La prima cosa, probabilmente, che viene da domandarsi in questo senso, è dove sia possibile ritrovare, nella storia umana di cui abbiamo testimonianza, un primo segnale, un primo manifestarsi di quelle tendenze che noi riscontriamo, ora, saldamente attestate.

Sembrerebbe di poter rispondere – stando almeno nell' ambito di una linea di civiltà "occidentale", "europea" – che un primo momento decisivo si ebbe agli albori dell' antica Grecia, intorno all' VIII-VII secolo avanti Cristo. Si verificarono lì alcuni fatti eclatanti, sulla via della futura Modernità. Quella cultura e civiltà greca passò, infatti, da un' economia di sussistenza ad un' economia di sovrapproduzione e commercio. Nelle isole Ionie, prima, e nella Grecia continentale poi, la coltura diversificata, tesa a soddisfare tutti i bisogni, lasciò il posto alle sole colture più "produttive", quelle della vite e dell' ulivo.
Nello stesso periodo, nella stessa area, si cominciò ad utilizzare la moneta, affinchè fossero resi più efficienti gli scambi commerciali.

Parallelamente, si sviluppò l' arte della navigazione, per fornire ad altri popoli ciò che si era prodotto in più, e per essere riforniti di quel che non si produceva – e l' arte della diplomazia politica e della guerra, per imporre ad altri popoli di comperare quello e di vendere questo.[3]
La cultura del tempo sembra riflettere questo spirito: i valori emergenti dai poemi omerici (probabilmente VII secolo a.C.) sono fortemente quelli del desiderio di conquista e possesso, dello spirito d' iniziativa… Il personaggio immortalato è Ulisse – Ulisse il bramoso di ricchezze, il conquistatore di Troia con un "espediente tecnico", l' esploratore…

Proseguendo, si potrebbe fissare – almeno per certi versi – come un fatto importante la diffusione, e il successivo affiancamento al potere politico, della religiosità ebraico-cristiana in Europa. Questo direi per due motivi: primo, il carattere marcatamente "attivistico" del Dio ebraico, il quale crea dall' assoluto nulla per sola propria volontà; secondo, l' introduzione di un tempo lineare – seppur ancora finito – al posto di un tempo ciclico, il quale induceva maggiormente ad accettare un Destino piuttosto che a "costruire un futuro".

Un altro snodo della Storia da tenersi per determinante, è credo il momento in cui, tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, si rafforzano e acquistano potere nelle città i ceti borghesi produttivi.

Dal punto di vist

Redazione