Enrico Caprara – Dov’è l’oscurantismo?

Risuona continuamente – nelle analisi e valutazioni dei tecnici, nei propositi dei governanti, nei rilanci dell' "ottimismo" – il riferimento allo Sviluppo, alla crescita dell' economia, a possibilità materiali e quantitative che siano ampliate ancora e poi ancora…Ma c' è – forse proprio a causa dell' insistenza – un che di stonato: è un richiamo che in effetti appare, sullo sfondo dell' autentica realtà, più che improntato alla considerazione obiettiva, all' aspettativa ragionevole, veramente come una richiesta d' intercessione, una disperata preghiera volta al loro malefico idolo. 

E poichè, nella disperazione, è preferibile non votarsi alla sola divinità, ma bensì a tutta la schiera dei "Santi", abbiamo modo di ascoltare, come in una litania, a seguito dello "Sviluppo" tirato in questione un altro miracolatore, un altro mito della Civiltà Occidentale – fasullo evidentemente quanto il primo: la "Ricerca Scientifica".

Lo Sviluppo e la Ricerca Scientifica condividono, in sostanza, la stessa balorda e deleteria idea: secondo la mentalità dello Sviluppo, bisogna realizzare non "ciò che serve al proprio buon vivere", ma "tutto ciò che è possibile realizzare"; secondo la mentalità della Ricerca Scientifica, bisogna conoscere non ciò che serva conoscere, ma tutto ciò che è possibile conoscere. E' la mentalità, cioè, che attribuisce valore comunque all' iniziativa, mentre lo stare come si è, la quiete, è considerato in ogni caso una vergogna.

Ora, una critica del genere a quell' orientamento attivistico, che accomuna lo Sviluppo Economico e la Ricerca Scientifica, può facilmente attirarsi – è piuttosto ovvio rendersene conto – la contro-critica di "oscurantismo". E' un rischio che tuttavia bisogna correre. Potrebbe risultare opportuna, ad ogni modo, qualche specificazione. Il punto vero riguardo la questione della "conoscenza", ciò che rende problematico lo spirito della Ricerca Scientifica, non è in effetti la negatività del "conoscere molto" rispetto al "conoscere poco", del praticare certi ambiti nella ricerca conoscitiva anzichè limitarsi a certi altri. Ciò che veramente importa è l' atteggiamento, la disposizione, la giustificazione. Il conoscere perchè si pone la necessità di conoscere, va senz' altro bene; l' iniziativa del conoscere è senz' altro foriera di guai.

Vale cioè per il "conoscere" quel che vale, più generalmente, per l' "agire". L' "agire", indubbiamente, è necessario all' esistere. Ma quale debba esserne lo spirito, perchè l' agire risulti benefico, ce lo indica molto chiaramente il Taoismo. L' agire, secondo il Taoismo, ha valore e beneficio se non è originato da iniziativa, ma da "necessità", se non ha perciò intenzionalità propria e sforzo, se può essere definito un "agire senza agire", o con altra espressione un "non-agire". Siamo agli antipodi, evidentemente, della concezione nella nostra civiltà, che celebra invece l' "agire per l' agire", in cui il valore sta già nella mera iniziativa, nel dinamismo, nell' accrescimento e nel mutamento pur che sia.

Non si tratterebbe allora – tornando alla questione del "conoscere" – di ripudiare la "conoscenza pratica", nella forma anche metodologica della Scienza Moderna, ma di perseguire questa conoscenza a seguito del problema, di praticare una conoscenza – diciamo così – più "localizzata". L' orientamento in auge nella Civiltà Occidentale, invece, persegue una scienza, oltre che "volontaristica", anche "totale", che permetta poi con applicazioni particolari la soluzione dei problemi. E, pretendendosi appunto come portatore di conoscenza "totale", l' apparato della Scienza Moderna – nelle sue varie articolazioni: Fisica, Chimica, Biologia, Psicologia, Sociologia… – non si limita a fornire soluzioni a problemi, ma si pone quale supremo competente a stabilire, anche, ciò che sia problema e ciò che non lo sia.

Potremmo dire che si realizza, in questo modo, l' autentico e più terribile "oscurantismo". La componente nucleare e fondamentale dell' essere umano – l' "illuminazione interiore", la "gnosis", la profondità della coscienza – che può stabilire il valore delle esperienze nel Mondo, indicargli la direzione del buon vivere, rimane annichilita ed estraneata. Come scrive Umberto Galimberti in "Psiche e Techne: L' uomo nell' età della tecnica": – "[Gli individui] Impareranno cos' è normalità e follia dallo psichiatra, cos' è salute e malattia dalla clinica, cos' è sessualità e perversione dalla psicoanalisi, cos' è ordine e disordine dalle scienze sociali…"

9 giugno 2007

Redazione