Il crac dei mutui insolventi ancora poche settimane fa veniva descritto dai finti ingenui come una crisi prevalentemente americana. Oggi invece ne siamo coinvolti, come era inevitabile. Anche i risparmiatori europei e asiatici sono impoveriti, il panico finanziario contagia tutti i continenti e tutti i mercati. Per l'effetto dei vasi comunicanti vanno a picco anche titoli d'investimento considerati sicuri.
L'agenzia di rating Moody's accenna per la prima volta all'imminente fallimento di un "importante" hedge fund, molto più grosso di quelli caduti finora. Un evento che secondo Moody's provocherebbe danni simili al crac del fondo Ltcm nel 1998, quando il mondo intero fu sull'orlo di un crollo finanziario generalizzato. Il meccanismo di propagazione globale della crisi è implacabile. Gli hedge fund che non riescono a rimborsare i sottoscrittori, le banche che hanno buchi di bilancio per avere investito nei mutui insolventi, gli operatori finanziari che hanno in tasca titoli-spazzatura, tutti hanno urgente bisogno di procurarsi liquidità e perciò si disfano di quel che possono.
Così l'ondata di vendite si è allargata dagli strumenti derivati fino alle obbligazioni e alle azioni, con una caduta generalizzata dei valori di quasi tutte le categorie di titoli (con l'eccezione dei buoni del Tesoro). In questa fuga verso titoli di qualità – merce sempre più rara – si sta prosciugando anche il mercato dei cosiddetti "commercial paper", quelle cambiali negoziabili a breve scadenza che sono indispensabili per finanziare l'attività quotidiana delle imprese.
Il panico finanziario si trasmette all'economia reale che già si trova in un frangente difficile: la crescita in Europa ha appena avuto una imprevista frenata; in America la pesante svalutazione dei prezzi delle case costringerà molte famiglie a sacrificare i consumi; perfino il boom cinese dà segnali di rallentamento.
In questo preludio di catastrofe è scattata la caccia al colpevole. La Commissione europea apre un'indagine sulle agenzie di rating come Moody's e Standard & Poor's. Finalmente finiscono sul banco degli imputati questi arbitri dei mercati che hanno tradito la loro funzione. Le agenzie hanno il compito di valutare la solvibilità dei debitori e quindi il livello di sicurezza dei titoli che emettono. Hanno ignorato per molto tempo il disastro che si stava preparando in America. Ai milioni di mutui insolventi, a quei debiti riciclati e nascosti dentro complessi titoli finanziari, le agenzie hanno regalato per anni voti altissimi, perfino l'ambito "AAA".
Le agenzie di rating hanno quindi una responsabilità primaria. La loro omertà è stato un alibi formidabile per i banchieri e i gestori dei fondi comuni, che in cerca di alti rendimenti hanno riempito di "cartaccia" i portafogli dei risparmiatori. Ma la catena delle colpe è più lunga. I top manager strapagati che governano le strategie d'investimento delle nostre banche, dei fondi comuni, delle assicurazioni vita, dei fondi pensione, tutti avevano la possibilità di prevedere da molti mesi, se non da anni, il dramma che ora è scoppiato alla luce del sole. I risparmiatori di tutto il mondo, italiani compresi, scoprono di essere stati beffati. Perfino quando si erano affidati a gestioni patrimoniali definite "prudenti", o quando hanno cercato la massima sicurezza e liquidità optando per i cosiddetti fondi monetari, in realtà i loro soldi servivano ad acquistare anche titoli opachi e rischiosi, collegati agli hedge fund speculativi e al business semi-delinquenziale delle società dei mutui facili.
L'esame delle responsabilità deve proseguire fino in fondo. Non possono esserci immunità speciali neanche per le nostre banche centrali e authority di vigilanza sui mercati. La pericolosità degli hedge fund è stata denunciata da tempo. La mina vagante della finanza derivata – fabbrica ineasuribile di strumenti speculativi sempre più complicati – da molti anni figurava al "menù" di tutti i vertici del gruppo di Basilea, dove si riuniscono i banchieri centrali dei paesi ricchi.
Eppure non si è fatto nulla per regolare la giungla. E' legittimo il sospetto che i poteri forti della grande finanza privata hanno avuto la meglio, hanno dissuaso le banche centrali dal mettere il naso nei loro affari. Il ruolo delle banche centrali balza in primo piano proprio per il parallelismo tra la crisi di oggi e quella scatenata dal crac Ltcm nel 1998. Allora Alan Greenspan era ai comandi della banca centrale più potente del mondo, la Federal Reserve americana. Con massicce iniezioni di liquidità sui mercati Greenspan arginò quella crisi. All'epoca quel salvataggio fu definito un capolavoro e contribuì a consolidare il prestigio di Greenspan, che oggi lo monetizza incassando gettoni di consulenza da grandi banche private.
A posteriori il bilancio di quell'operazione appare meno brillante. La mobilitazione delle risorse delle banche centrali nel 1998 evitò che il mondo degli hedge fund pagasse il prezzo che meritava di pagare. Si creò quello che gli economisti definiscono "azzardo morale". La certezza che alla fine "arrivano i nostri", che il peggio viene sempre evitato, crea un clima di impunità e induce gli operatori più avventurosi a riprovarci: tanto rischiano i soldi degli altri, e se va male saranno le risorse dei contribuenti a saldare i debiti scoperti.
Questo scenario non deve ripetersi. Le colossali iniezioni di liquidità che la Federal Reserve e la Bce stanno immettendo sui mercati devono avere un compito preciso e limitato: ridurre i danni sull'economia reale, la crescita e l'occupazione. Non devono essere un salvataggio indiscriminato. Il bubbone va inciso. Un capitalismo sano ha bisogno di vedere operare la distruzione creatrice, la sana selezione che avviene attraverso i fallimenti. Anche se dovesse rimanere travolta qualche grande banca europea, l'effetto educativo per il futuro sarebbe molto superiore ai danni economici immediati.
La Repubblica, 17 agosto 2007