E così anche la famiglia Ferruzzi, padrona del secondo gruppo privato italiano, ha passato la mano, sommersa da una valanga di debiti nei confronti delle banche: 30mila miliardi. Non è certamente la prima volta che un fatto del genere accade nel mondo economico degli ultimi decenni. Era successo ai Rizzoli, che furono rovinati non solo dalle ruberie di Bruno Tassan Din e dei suoi accoliti ma anche da una politica di dissennata espansione, e dal conseguente indebitamento, che li portò dritto nelle fauci di Calvi del Banco Ambrosiano. Successe allo stesso Banco che, divorato dai debiti, mandò sul lastrico decine di migliaia di piccoli azionisti. Ed è successo a tanti altri, in Italia e all'estero (si pensi solo al caso di Maxwell, il magnate della stampa anglosassone finito in pochi mesi in braghe di tela). Nel mondo attuale sembra un destino comune a molte grandi imprese, apparentemente solide con fatturati notevolissimi, con apparati industriali che tirano, quello di finire schiacciate dal peso della loro stessa grandeur e dai debiti accumulati per raggiungerla. Del resto dello stesso gruppo Berlusconi, che pur occupa nel settore chiave delle comunicazioni una invidiabile posizione semimonopolistica, si sussurra che scricchioli a causa dei debiti.
Gli esperti spiegano che questo è un portato inevitabile dell'economia moderna, che, a certi livelli di dimensione ottimale dell'impresa, per poter combattere la concorrenza, si sposta sempre più in alto, che oggi si devono fare investimenti che diventeranno produttivi fra dieci o vent'anni e che nessuno, per ricco che sia, ha tanti soldi per affrontare cimenti del genere senza ricorrere ai crediti delle banche. Per cui la vita della grande impresa corre inevitabilmente sul difficile e rischioso crinale di enormi fatturati e di debiti altrettanto enormi. Sarà senz'altro così. Epperò questa caratteristica dell'economia è abbastanza recente e anche un poco sinistra. Angelo Rizzoli senior sul letto di morte raccomandò ai figli: «Non fate mai debiti». Perchè in questo modo il «cumenda», partendo da zero, aveva costruito un impero editoriale. Anche Serafino Ferruzzi, il «contadino», capostipite della famiglia che oggi disarma, aveva costruito la sua fortuna allo stesso modo. Intendiamoci, un certo ricorso al credito bancario, per finanziarie questo o quel progetto, c'è sempre stato, anche per le famiglie imprenditoriali d'antan, ma era inteso che poi dai debiti si rientrava. Oggi invece tutta l'economia sembra basata sul debito permanente e istituzionalizzato. E non solo da parte delle imprese, ma anche del normale cittadino. È in intero costume sociale che è cambiato.
Oggi il debito, da disvalore che era, è diventato un valore. Perchè molti hanno capito che indebitati si vive meglio. Una volta chiesi a un'amico, che menava un'esistenza dispendiosissima, con villa a tre piani sul lago di Lugano, servitù, yacht e tutto quanto, come facesse a mantenere quel tenore di vita che non corrispondeva in alcun modo al suo pur cospicuo stipendio. «Vedi» mi rispose «se tu guadagni duecento milioni l'anno, puoi condurre una vita come se ne guadagnassi duemila, perché sul credito che ti danno quei 200 milioni ti procuri gli altri 1.800». Il risparmiatore, tapino, fa esattamente il contrario: con uno stipendio di duecento milioni mena una vita come se ne guadagnasse cento.
E a me, sarò un inesperto, sarò un incompetente, tutta la vita economica e sociale moderna sembra una lotta mortale fra debito e risparmio, o meglio fra coloro che si indebitano e coloro che risparmiano, dove questi ultimi sono costantemente e inevitabilmente, in modo diretto o indiretto, rapinati dai primi, dove i risparmiatori pagano il lusso dei debitori. Perche alla fine della strada del debito incontrollato c'è sempre, ovviamente, un crack, che però più che ricadere sulla testa dell'insolvente va a finire su quella del risparmiatore. Infatti il debitore, soprattutto il grande debitore (questo è il trucco: essere dei grandi insolventi) trova sempre un Cuccia che organizza operazioni di salvataggio con i soldi delle banche pubbliche (come è avvenuto per i Ferruzzi e tanti loro predecessori) quindi, alla fine, del contribuente, cioè del risparmiatore. La grande cicala, in un modo o nell'altro, si salva sempre, mentre la formica, bastonata, riprende con pazienza a ricostruire la sua montagnetta di risparmio che, alla prossima volta, gli verrà di nuovo azzerata. E così il gioco eternamente si ripete. Ai danni nostri. delle formiche credulone e sceme che non hanno capito lo spirito del tempo.
Da "L'Europeo" del 02/07/1993