Massimo Fini – Il diritto alla legittima difesa

La nuova norma sulla legittima difesa è superflua dal punto di vista giuridico, ma opportuna da quello politico.

 

Il codice di Alfredo Rocco, che sarà stato anche un fascista ma era un grande giurista, regola infatti in modo ineccepibile l’istituto della legittima difesa che affonda le sue radici nell’istinto naturale e insopprimibile a difendere la propria vita, quella dei propri congiunti e i propri beni da un’aggressione o da una minaccia ingiuste. Dice l’art. 52 c.p.: «non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

La norma approvata alla Camera innova nel senso che quando l’aggressione avviene nella casa, nello studio, nel negozio dell’aggredito, la difesa, anche se arriva all’atto estremo dell’omicidio, è sempre considerata ‘proporzionata’. Di fatto la giurisprudenza riconosceva quasi sempre questa ‘proporzione’ perché l’aggredito non ha il diritto di essere così freddo e lucido da valutare oggettivamente quali sono le reali intenzioni dell’aggressore né ha l’obbligo di subire le angherie, gli ordini, le umiliazioni di chi si è introdotto illecitamente in casa sua.

Il rischio di una difesa sproporzionata non deve ricadere sull’aggredito ma sull’aggressore che, per primo, si è messo fuori dalla legge. La nuova norma serve quindi oltre che a sottrarre il cittadino a lunghi processi che per una persona normale sono particolarmente stressanti a dargli più coraggio e a disincentivare gli aggressori che ora sanno che non è più così scontato che si troveranno di fronte una pecora belante. La nuova norma più che un’innovazione giuridica è un messaggio rivolto sia ai cittadini che ai delinquenti.

E si è resa necessaria perché non siamo più ai tempi dei Rocambole e degli Arsenio Lupin, ladri gentiluomini, ma di bande arroganti, spesso di immigrati balcanici che, oltre a una vitalità che noi, a causa del benessere, abbiamo perduto, hanno nel loro dna la violenza. Il cittadino italiano deve recuperare quell’istinto vitale e non accettare che qualcuno, in casa sua, metta le mani addosso, a lui o alla sua sposa o ai suoi figli, foss’anche solo per rubargli la collezione di francobolli. E’anche, e forse soprattutto, una questione di dignità. ‘Cane di paglia’, poiché lo Stato, come ci dicono le cronache, non riesce o non può difenderlo, ha diritto di incendiarsi e, almeno a casa propria, a farsi giustizia da sé.

Da "Il Giorno" del 26/01/2006

Redazione