Ne ho piene le tasche del libero mercato. Ora che anche le sinistre si sono convertite e D' Alema va a genuflettersi davanti alla city londinese possiamo dire, senza timor di confusione, che è agghiacciante che il libero mercato non solo sia diventato la stella polare dell'economia, ma che esso determini i nostri stili di vita, la nostra cultura, la nostra psicologia e, in definitiva, ogni aspetto della nostra esistenza.
Che cos'è infatti il mercato? Lo dice la parola stessa: è uno scambio di merci, di cose, di oggetti a fini di lucro. In tutte le società che hanno preceduto questa non si è mai pensato che fosse degno di una persona dabbene perdersi in simili faccende. Fra i primitivi lo scambio poteva avvenire solo nella forma del dono e del controdono. Ogni altra era considerata manifestazione di volgarità e bandita.
Ma anche in seguito si è sempre pensato che ci fosse qualcosa di marcio e di spregevole nel comprare e vendere oggetti per guadagnarvi sopra e l' attività del mercante è sempre stata considerata immorale, laida, vile. I primi mercanti che operano nell'Ellade non sono greci ma stranieri o meteci. Successivamente i greci che si dedicano al commercio, per quante ricchezze accumulassero, non si elevarono mai, nella coscienza sociale, nemmeno al livello della classe media che per Aristotele era formata solo da proprietari terrieri. Nell' Atene del V secolo a.C., che pur era allora il più importante centro commerciale del mondo occidentale, si disprezza il mercante perché non agisce per dovere o per onore, che sono i valori del tempo, ma per guadagno e per denaro. Il kapelos, piccolo commerciante al dettaglio, è una macchietta abituale del teatro di Aristofane che ne fa oggetto di ogni sorta di sberleffo da parte del popolo. Il termine kapelos ci aveva messo pochissimo tempo a diventare «sinonimo di impostore, frodatore e baro» (K.Polanyi, Economie primitive, arcaiche e moderne ).
Persino nella società romana, che fu la più materialista del mondo antico e per certi versi, compresa la corruzione, la più simile alla nostra, è fatto divieto ai senatori, cioè ai nobili, di dedicarsi all'attività mercantile (anche se poi costoro bypassavano il divieto servendosi di teste di turco, non per nulla i romani sono gli antenati degli italiani). In India era fatto assoluto divieto ai bramini di acquistare alcunché con denaro. In Giappone il samurai riteneva vergognoso toccare il denaro e se gli veniva donato lo considerava un grave affronto. Anzi il samurai non può nemmeno parlare e persino pensare in termini di denaro.
Nel profondo Medioevo i Padri della Chiesa avevano condannato senza appello l'attività dei commercianti, benché allora ce ne fossero pochissimi, e secondo San Crisostomo dovevano essere espulsi dal tempio di Dio. Del resto aveva provveduto Cristo a dare l'esempio cacciando a frustate e pedate i mercanti dal Tempio. E' scritto nel Vangelo di Matteo: «Gesù entrò poi nel tempio e cacciò tutti quelli che trovò a comprare e vendere; rovesciò i tavoli del cambiavalute e le sedie dei venditori». E concluse l' happening con queste terribili parole: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri». Ma anche durante il basso Medioevo tutti i lacci e i laccioli che la Chiesa, attraverso le elaborazioni di San Tommaso D'Aquino, cercò di mettere al commercio, sopratutto con l'obbligo del «giusto prezzo» (o «prezzo cristiano») e il divieto di prestare a interesse, obblighi e divieti che venivano recepiti dagli ordinamenti pubblici, dimostrano che l'attività dei mercanti, nonostante avesse ormai un grande rilievo economico, era vista con sospetto. Lutero -e siamo già fuori dal Medioevo- va giù piatto, secondo lui «i commercianti rapinano tutti i giorni tutto il mondo». Persino Adam Smith, il fondatore della teoria economica moderna, non ha una grande opinione dei commercianti che considera dediti a delle autentiche truffe che giustifica solo perché vanno a danno dell'aristocrazia gaudente.
In realtà il mercante si nobilita solo con la Rivoluzione Iindustriale quando diventa imprenditoria. Non solo e non tanto perché nel frattempo è mutata, insieme al sistema economico, la mentalità, ma anche perché alcuni elementi della sua attività, come le dimensioni e l'organizzazione dell'azienda, la trasformazione dei prodotti, il suo ruolo di capitano d'industria e gli uomini, rendono meno percepibile che la sua è pur sempre un'attività di compravendita che, per dirla con Werner Sombart, «parte dal denaro e arriva al denaro».
I paria di ieri sono i padroni di oggi. Coloro che ritengono che sia degno scopo di una vita vendere bottoni, spilli, lamette da barba, automobili, informazione o, suprema raffinatezza, fare commercio di denaro (cioè di qualcosa che non esiste, un puro Nulla) sono i dominatori del mondo. A loro cedono il passo condottieri, cavalieri, guerrieri, atleti, pensatori, filosofi, artisti diventati anch'essi, assieme a tutto il resto, merce. E' il trionfo del Mercante. Che significa semplicemente questo: che si è passati da un'epoca in cui le leggi economiche erano in qualche modo subordinate alle esigenze e agli scopi della comunità umana ad un'altra dove sono gli uomini che devono piegarsi ad esse e al Libero Mercato diventato Corpo Mistico e unico Credo.
La Borsa di New York crolla alla notizia che 200mila disperati hanno trovato un lavoro.
Da "Il Borghese" del 02/07/1997