Massimo Fini – Natura dei sessi (Dizionario erotico)

                                                 Ambiguità femminile

L'uomo è diretto, la donna trasversale. L'uomo è lineare, la donna serpentina. Per l'uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l'arabesco. L'uomo è razionale, la donna no. L'uomo approccia la realtà con l'attitudine del cronista, la donna con quella del romanziere: sfuma, allude, sottende. Nella donna, come nel romanzo, il non detto è più importante del detto.

 

 Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. E l'eterno femminino. L'ambiguità costituisce la fonte inesauribile del suo fascino ma anche il principale motivo della perenne e irrimediabile incomprensione fra i sessi. Al confronto con la femmina il maschio è un bambinone elementare («Ricordati che in ogni uomo c'è un bambino che vuole giocare» dice Nietzsche) che lei, a parità di condizioni, si fa su come vuole. A meno che non sia veramente innamorata. Perché la donna è un essere totale, capace quindi anche di una dedizione totale. In questo caso il suo masochismo sessuale, in genere compensato ad abundantiam dalla sua vitalità naturale, diventa masochismo tout court e lei può davvero farsi vittima senza difese e fino alle estreme conseguenze. La storia di Adele Hugo, la figlia dello scrittore, così splendidamente raccontata da Truffaut, è un paradigma di questa capacità di annichilimento. Solo le donne sanno sacrificare con naturalezza, quasi con noncuranza, la vita per il proprio uomo (Claretta Petacci ed Eva Braun ne sono due famosi esempi storici). Anche l'uomo può sacrificare la vita per l'amata e persino per un estraneo (questo la donna non lo farebbe mai, è troppo contrario ai suoi istinti vitali), ma lo fa, quando lo fa, per mantenere un certo concetto di sé, per orgoglio, per dovere sociale («prima le donne e i bambini») e ha bisogno quindi di un atto di volizione, di un atto eroico. Obbedisce a una regola, a un imperativo morale. La donna lo fa per istinto. Per l'uomo è molto più difficile, è un atto di coraggio, se il vero coraggio non è la temerarietà o l'incoscienza ma la capacità di superare, con la volontà, la paura.
Di fronte alla morte, come al dolore, l'uomo è infatti, in partenza, molto più vile della donna, perché ne ha più paura. Per il maschio la morte è precipitare nello spaventoso Nulla da cui è venuto, per la donna è ricongiungersi alla Terra, a Gea, alla Grande Madre, a se stessa. Questa capacità di dedizione totale al proprio uomo che appartiene, in certe occasioni, alla donna non va confusa con la generosità. E una forma di masochismo sublimato nell'amore. Ma nella quotidianità e nella normalità la donna è tutt'altro che generosa. È, al contrario, gretta, micragnosa, meschina, piccina, attentissima al "do ut des". L'uomo vive nell'astrazione, la donna nella concretezza. Ciò non significa però che conosca il principio di realtà. Segue semplicemente i propri istinti. Per cui può capitare che, come una falena impazzita, vada a sbattere contro il vetro della finestra e si estenui nel cercare di sormontare o di aggirare l'ostacolo impossibile. Ma la sua forza è tale che può persino riuscire, violando tutte le leggi della razionalità, ad abbatterlo.
Che questa sia un'epoca femminea, o quantomeno unisex, lo dice anche il fatto che l'uomo ha perso le proprie caratteristiche di linearità, di dirittura, di franchezza, di lealtà e quindi di virilità. E diventato ambiguo come una donna. Parla con lingua biforcuta, raggira, tende trappole e tranelli. Non rispetta più le regole, la norma, non conosce o non riconosce più la logica, il principio di non contraddizione, ha perso il senso del diritto e della giustizia (cui la donna è refrattaria, per lei non esiste regola che possa avere valore superiore ai propri istinti vitali). L'uomo sta cioè abbandonando il mondo artefatto che lui stesso si era costruito, senza per questo poter ritrovare quello naturale. Siamo di fronte a uomini femminilizzati e a donne maschilizzate, che dall'uno e dall'altro sesso hanno preso solo il peggio. Siamo diventati tutti degli omosessuali.

                                                Atto sessuale
In sé non ha nulla a che vedere con l'erotismo. L'erotismo è un fatto mentale, scopare un fatto fisiologico, un mero sfregar di mucose. Diventa erotico – ma perché ciò avvenga bisogna che la società e l'individuo abbiano raggiunto un certo livello culturale – quando viene percepito come atto che degrada la donna a femmina, ad animale. Spiega Georges Bataille in un fondamentale passaggio de L'erotismo: «La bellezza (l'umanità) di una donna concorre a rendere sensibile – e sconvolgente – l'animalità dell'atto sessuale. Nulla di più deprimente, per un uomo, della bruttezza di una donna sulla quale la laidezza degli organi sessuali e dell'atto non risalti. La bellezza conta in primo luogo perché la bruttezza non può essere sciupata. Laddove l'essenza dell'erotismo risiede appunto nella profanazione».
Per l'uomo la donna è un soggetto erotico non perché ha un sesso in quanto tale ma perché attraverso la sua sessualità la può ricondurre allo stato animale, destituendola quindi come donna, come persona, come individuo sociale. Questo processo di degradazione ha un percorso più o meno lungo (i cosiddetti preliminari), che è appunto il gioco erotico, e il suo culmine nell'atto sessuale. Ma proprio quando il maschio crede di realizzare il suo massimo trionfo sulla donna, degradandola definitivamente a femmina nella brutalità e nella naturalità dell'atto, qui si realizza invece la sua capitolazione. Ciò che l'uomo sente di infinitamente superiore nella donna è la vitalità. Ed è questa vitalità che nel gioco erotico vuole in fondo punire, sconciandola e umiliandola. Ma si caccia in una trappola perché, degradandola a femmina, va a ficcarsi proprio nel cuore della sua potenza creativa e ne viene inghiottito. Più sottile, forse, è il maschio masochista che, invertendo i ruoli sessuali, afferma il proprio valore e la usa invece di esserne usato.
E' sempre la donna a uscire vincente dall'amplesso: perché ritrova la propria essenza, che è la natura, laddove l'uomo perde la sua, che è la cultura. Attraverso i cicli lunari, le mestruazioni, la fecondazione, la gestazione, la placenta, il parto, le mammelle, il latte e tutti i complessi processi fisiologici che si svolgono all'interno del suo corpo, la donna è infatti legata alla natura molto più intimamente di quanto lo sia l'uomo. L'atto sessuale riporta quindi la donna a se stessa, alla sua funzione primigenia di femmina potenzialmente feconda, che procrea, e che in ragione di ciò è strutturata per ricavarne il massimo piacere, che la coinvolge interamente («sono tutta bagnata»), mentre al maschio è riservato il compito transeunte dell'inseminatore e un piacere molto minore e localizzato.
L'atto sessuale interessa quindi molto più a lei che a lui. E se col gioco intellettuale dell'erotismo l'uomo cerca un piacere diverso da quello fisico è proprio perché il piacere che gli procura l'amplesso è limitato se non addirittura deludente. Che poi oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, l'accoppiamento non preveda la fecondazione, anzi espressamente la escluda, non annulla queste verità biologiche di fondo che continuano a determinare e modellare i caratteri, la psicologia, i movimenti e i comportamenti del maschio e della femmina. Vinta e umiliata quindi nel gioco erotico, come donna, lei risorge inesorabilmente, nell'atto sessuale, come femmina. È l'Araba Fenice. È indistruttibile.
L'uomo avverte più o meno consciamente, oscuramente, di avere in tutta questa vicenda la parte minoritaria, marginale e letale del fuco. Come il fuco, viene portato dalla sconvolgente sessualità della femmina ad altezze che non gli sono congeniali e la sua morte simbolica è segnata dallo stato miserevole in cui è ridotto il suo pene mentre la vagina si nutre del suo seme e si gonfia d'orgoglio. E' un passaggio di energie. «Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa» dichiara crudamente uno dei protagonisti de "L'età della ragione" di Sartre.
Diciamo quindi la verità una volta per tutte: se potesse l'uomo farebbe volentieri a meno di scopare. E' un dovere biologico e sociale, una fatica, uno stress, implica un'erezione problematica, costringe il maschio a mettersi alla prova, a sottoporsi al giudizio della donna per qualcosa che, in definitiva, va a vantaggio molto più di lei che di lui. Invece nei preliminari, cioè nel gioco erotico vero e proprio, è lui il padrone della situazione, che maneggia, scompone, sconcia a suo piacere l'inquietante giocattolo (ma anche questa è illusione e apparenza: il gioco erotico è necessario all'erezione del maschio, ma in funzione della femmina, la vera protagonista dell'amplesso).
Lisistrata, quindi, chi la capisce? Capeggiò uno sciopero che inibiva ai mariti l'accoppiamento, ma le loro donne e spose continuavano a fare i consueti lavori di casa. Venire accuditi e non essere nemmeno costretti a scopare: si può immaginare qualcosa di meglio? Oltre- tutto lo sciopero di Lisistrata e delle sue compagne era particolarmente stolido perché aveva lo scopo di far terminare una guerra che i greci delle varie polis si stavano combattendo da decenni, lasciando le donne a casa a fare la calza. Ora, ogni maschio bennato di fronte alla scelta fra la donna e la guerra non ha dubbi: sceglie la guerra. «Fate l'amore e non la guerra» è uno slogan femmineo che non ha retto alla verifica della realtà.
Infatti la donna, che procrea, è dalla parte della vita, ma l'uomo, fuco sterile, è animato da un oscuro istinto di morte e soffre di un acuto, anche se inconfessabile, inferiority complex nei confronti della femmina («l'invidia del pene» è un sottoprodotto culturale, una sciocchezza freudiana). L'uomo si è inventato tutto il resto, l'arte, la letteratura, la scienza, il diritto, il gioco e il gioco di tutti i giochi, la guerra, per coprire in qualche modo questo vuoto, per sopperire alla sua impotenza procreativa. Il mondo della donna appartiene alla concretezza e alla pienezza della natura, quello dell'uomo al sogno, all'astrazione, all'artefatto. Suo è quindi anche il gioco erotico.
L'erotismo, costruzione mentale, è un bisogno molto più maschile che femminile. Per la donna, alla quale in fondo per andar su di giri basterebbero le carezze, cioè un'attività fisica, è solo un fatto di sponda, di controspecchi. Narcisa astuta e sapiente, si riflette nel piacere di lui e ne gode. Anche perché sa che, alla fine, ne trarrà, come dicono a Genova, la sua convenienza.
Per l'uomo quindi l'atto sessuale può diventare facilmente secondario rispetto al gioco erotico o venir addirittura eliminato. Per la donna rimane invece l'obiettivo primario. Legata alla natura, potenzialmente feconda, la donna, nonostante tutte le sovrastrutture culturali che le sono state calate addosso, resta un essere-per-la-vita, mentre l'uomo è-per-la-morte. L'uomo è quindi per l'eros, la donna per il sesso.

                                                        Chiesa cattolica
Non sarà mai ringraziata abbastanza, perché ci ha dato il più delizioso di tutti i sensi: il senso di colpa. È arcinoto che non c'è nulla che ecciti quanto il proibito. E in campo sessuale la Chiesa, per altri versi così indulgente, è stata davvero "Magister vitae" vietando quasi tutto e affinando il più potente e sottile degli afrodisiaci («Considerandolo come un peccato il cristianesimo ha fatto molto per l'amore» ha scritto Anatole France). «Non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio» così si immolavano le giovani spose quando Santa Madre imperava.
Oggi la Chiesa ha perso quasi tutta la sua presa in campo sessuale, ma il senso di colpa e del peccato è rimasto come un richiamo di sottofondo, non facilmente sradicabile. Chiunque abbia avuto una ragazza che è stata dalle Orsoline, dalle Marcelline o in altri istituti di suore sa i piaceri che se ne possono ricavare. Lei si vergogna e si eccita della propria vergogna. Una miscela esplosiva. Il permissivismo sessuale è una sciagurata creatura tardo-modema. L'amore solare, libero, hippyesco, alla Zabriskie Point, soprattutto se consumato in gruppo e all'aperto, come se si trattasse di un picnic, è, diciamo la verità, di una noia mortale. Scopare ha perso ogni attrattiva, se mai l'ha avuta, da quando da proibito è diventato obbligatorio.

                                                             Città
La città è erotica, la campagna è sessuale. In città sono i ritmi accelerati, febbrili, ossessivi, nevrotici, la prevalenza dei lavori intellettuali su quelli manuali, la mancanza della fatica fisica, gli ambienti ristretti, la contiguità di molti individui, l'importanza che vi assumono i vestiti, l'abbondanza e la fantasia degli oggetti, il contesto tecnologico, il cemento, a predisporre a un sesso di tipo mentale.
In campagna, in luoghi in stretto contatto con la terra, si è invece indotti a un sesso meno sofisticato, più semplice, più diretto, più naturale. È in campagna, all'aperto, e non certo nei falansteri cittadini, che ci si può sentire in sintonia con il Tutto cosmico e i suoi eterni cicli di cui anche la congiunzione carnale fa parte e in cui le elucubrazioni mentali, erotiche, perdono senso, suonano anzi inopportune e ridicole. L'erotismo vuole luoghi chiusi o addirittura reclusi (De Sade stava in prigione). Tour se tient. L'erotismo nasce con la borghesia o comunque ne viene grandemente potenziato. Il borghese è cittadino e il termine citoyen cominciò a essere usato con la Rivoluzione francese.

                                                          Discorsi
In genere si crede che i maschi facciano fra loro discorsi molto sporcaccioni. Certamente dicono oscenità e si vantano di avventure mai avvenute (il maschio che scopa è silenzioso). Ma fra gli uomini resta sempre una certa pudicizia virile che impedisce confidenze troppo personali sulla propria vita sentimentale e sessuale. Le donne sanno essere molto meno amiche (anzi non lo sono quasi mai, l'amicizia è un fatto maschile, implica una lealtà estranea alla femmina), ma sono capaci di instaurare fra loro una intimità sconvolgente. Le donne, soprattutto quando si trovano nei locali pubblici, in discoteca, al ristorante, vanno al cesso insieme: una si alza la sottana, si tira giù le mutande, si siede sulla tazza, piscia e intanto chiacchiera amabilmente con la compagna, magari conosciuta solo quella sera.
Allo stesso modo si fan parte senza pudore delle loro storie sentimentali e si raccontano le proprie esperienze sessuali fìn nei dettagli più intimi e scabrosi. Sono lettrici attentissime della cronaca rosa ma anche, sia pur senza farsi troppo notare, di quella nera a sfondo sessuale. Peraltro la cronaca in generale interessa moltissimo la donna. Perché ha il gusto del particolare ed è curiosa come una scimmia. Non si tratta di una curiosità metafisica, rivolta alle grandi domande sull'essere di cui non le potrebbe fregar di meno, ma di una curiosità più terranea e concreta. Il pettegolezzo è il suo habitat naturale. È perciò possibile raccontare anche a una signora irreprensibile, senza che lei perda nulla della sua irreprensibilità, le storie più boccaccesche e sporcaccione, soprattutto se riguardano amiche e conoscenti, e poco importa se inventate di sana pianta, spingendosi nei particolari più indecenti. Lei non batterà ciglio, interrompendo solo di quando in quando con dei deliziosi e finto scandalizzati «Ma davvero?», «Addirittura!», «Nooo?!», «Non è possibile» o con un incoraggiante «Vai avanti» che travolge anche le ultime barriere.
Particolarmente stuzzicante è raccontarle una storia tremenda dando alla protagonista, oggetto di ogni sconvenienza, i suoi tratti fìsici e sociali e possibilmente anche lo stesso vestito che ha indosso in quel momento. La signora trangugerà tutto, continuando a fìngere il nulla (ma se durante il racconto accavalla le gambe vuol dire che sotto si sta bagnando). Se è una grande divoratrice di storie cochon è invece difficile che la donna prenda l'iniziativa di raccontarle a un uomo. Né il fatto che si presti all'ascolto significa che abbia intenzione di saltare il fosso col narratore. Semplicemente le piacciono le porcherie e le schifezze, anche a titolo gratuito. Le donne amano schiacciare i punti neri, propri e altrui, e guardare ciò che ne esce. Ed è detto tutto.

                                                              Fica
Quest'abisso marino che la donna ha fra le gambe ha sempre fatto paura all'uomo. Perché rappresenta, materialmente e simbolicamente, la caoticità della femmina, la sua creatività, la sua inquietante fecondità. Da lì ha origine il mistero di tutti i misteri: la vita. E per questa atavica paura della donna, della femmina per essere precisi, che l'uomo ha sempre cercato di limitarla, di condizionarla, di recintarla, di confinarla, di controllarla, di sottometterla, di soggiogarla. E la vitalità della donna che fa paura. Il mondo femminile è primordiale, istintivo, ebbro, baccante, danzante, dionisiaco, quello dell'uomo è apollineo. La donna è la vita, l'uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte.
E se nell'amplesso l'uomo preferisce, in genere, che lei conservi su di sé qualche elemento dell'abbigliamento non è solo perché segnala quel processo di degradazione da donna a femmina in cui consiste l'erotismo, ma anche perché una donna interamente nuda, totalmente consegnata alla propria animalità, terrorizza l'uomo. Una donna con qualche cosa addosso è ancora cultura, e quindi in certa misura governabile, senza è una forza della natura.

                                                       Fica Power
Il potere della fica è duplice: come organo della riproduzione e come oggetto del desiderio maschile. Il primo è perfettamente comprensibile (senza di lei non c'è la vita, e scusate se è poco); il secondo, che, come noto, è enorme tanto che si può dire che intorno giri l'universo mondo, è, per certi aspetti, paradossale. Infatti l'atto sessuale, per motivi legati all'archetipo della fecondazione, interessa molto più alla donna che all'uomo e le dà un godimento di gran lunga superiore e più completo. Ma la Natura, per ragioni che attengono all'erezione del membro virile e proprio alla minore disponibilità del maschio all'atto sessuale, ha voluto che sia l'uomo a dover fare la prima mossa e a mettersi quindi dalla parte della domanda. E chi chiede è sempre in una condizione di inferiorità. E la donna che può gestire il mercato e regolare il traffico. Da questa circostanza nasce il suo potere sessuale altrimenti inspiegabile.
Oggi che le donne sono entrate nel mondo del lavoro maschile il Fica Power è usato con spregiudicatezza per fare carriera e ottenere altri inammissibili vantaggi. Ma non si può dire. È tabù. Viene considerata un'intollerabile offesa all'immagine della donna che è ridiventata, come nell'Ottocento ma per motivi diversi, un essere angelicato, depurato di ogni bruttura morale. Si batte quindi sempre e solo il tasto del potere di ricatto maschile sul luogo di lavoro. Che c'è, naturalmente, ma è più limitato, se non altro perché può essere esercitato solo dall'alto in basso ed è verificabile, mentre il fica Power è diretto a tutto campo e praticamente indimostrabile.
Invece di indignarsi quando si parla di Fica Power le femministe o comunque i tanti teorici delle pari opportunità dovrebbero prestarvi qualche attenzione, perché questo atteggiamento lede innanzi tutto i diritti e le aspettative di quelle donne che nei rapporti di lavoro si comportano con correttezza.

                                                         Matrimonio
È la tomba dell'eros più che del sesso. Innanzitutto perché istituzionalizza la trasgressione, il che è una contraddizione in termini. In secondo luogo gli atti trasgressivi si vanno via via depotenziando per effetto dell'abitudine. Nel matrimonio, o comunque nel rapporto di coppia stabile, bisogna ricostruire ogni volta il teatrino, ma a lungo andare le quinte cadono a pezzi, la trama, sia pur variata in tutti i modi, mostra la corda, i burattini si rivelano per quello che sono. Ecco perché l'avventura rapida e fugace è così eccitante: l'effetto dissacratorio è molto più forte («Ma come? Fino a un momento fa non ci conoscevamo neppure, tu eri lì bardata nei tuoi vestiti, compresa e orgogliosa del tuo ruolo di donna, e adesso ti sei fatta tirar giù le mutande e ficcare un dito nel culo?»). E’ esaltante rompere il giocattolo nuovo, rompere sempre lo stesso giocattolo alla fine stufa.
Nell'avventura però, esauriti i preliminari, cioè il gioco prettamente erotico, quasi mai il rapporto sessuale vero e proprio è soddisfacente (anche se il deficit sensuale può essere compensato dall'eccitazione psicologica). Infatti l'abitudine se gioca contro l'erotismo va favore del sesso. I corpi imparano a conoscersi e a riconoscersi, ad accettarsi, a calibrarsi, a individuare e sfruttare i rispettivi punti deboli. E tale processo di approfondimento dura più a lungo di quanto non si creda. E' uno dei motivi – oltre, naturalmente, a quelli sentimentali, affettivi, di interesse, di comodità, di quieto vivere – per cui il rapporto di coppia non si rompe dopo pochi mesi o addirittura dopo poche settimane, come avviene in genere quando è basato esclusivamente sull'erotismo (non a caso un film, peraltro abbastanza banale, che tratta la questione si intitola 9 settimane e 1/2).
Anche la nascita dei figli deprime l'eros. La donna diventa per il maschio un oggetto sacro, quasi intoccabile. Se durante gli ultimi mesi di gravidanza e il periodo del puerperio è sconsigliato o addirittura proibito avere rapporti sessuali ciò è dovuto certamente a motivi medici e igienici, però il verboten collima anche con la situazione psicologica del maschio che ha difficoltà ad avvicinare la donna quando questa è investita dalla sacertà della maternità. E l'interdetto, per quanto attenuato, continua anche dopo. Non si possono fare scherzetti troppo sudici alla madre dei propri figli. Una cosa è avere a che fare con una donna potenzialmente feconda, altra con una dal cui corpo – e proprio dal recesso in cui a concentra la sua sessualità e si appunta la maggior pane degli appetiti e delle immaginazioni maschili – è uscita la vita (la pratica moderna che vuole che l'uomo assista al parto della propria compagna è demenziale). La fica da luogo di piacere, diventa oggetto sacro.
Se l'uomo non riesce a superare questa impasse psicologica la coppia entra in crisi. Non sono affatto rari i casi di relazioni coniugali che si sfasciano proprio alla nascita di quel primo, desideratissimo figlio che doveva cementarle. Ma anche senza arrivare a questi estremi l'attività erotica e sessuale dei due può ridursi al minimo, ad un obbligo penoso, ed entrambi cercheranno fuori quelle sollecitazioni che non trovano più nel letto coniugale. Perché, come suoi dirsi, la donna deve essere signora di giorno e puttana di notte. Ma, soprattutto, deve essere resa puttana (lei lo è di suo, comunque) e se all'uomo viene meno questa voglia e questa molla, e la rispetta troppo, tutto il meccanismo erotico si inceppa. Questo è sempre stato il problema del matrimonio borghese, da cui discendono l'adulterio sistematico di lui e i bovarismi di lei.
In epoca preborghese – a meno che non si voglia risalire alla società romana, per molti aspetti, compresi quello mercantile e sessuale, assai simile alla nostra – le cose erano congegnate e compensate meglio. Innanzitutto nel rapporto sessuale la componente istintiva, fisica, fisiologica, biologica prevaleva su quella psicologica ed erotica. E vero che, come scrive Ariès, anche nel Medioevo c'era una netta differenza tra il rapporto sessuale coniugale ridotto al solum coitum, e destinato prevalentemente alla procreazione, e quello extraconiugale dove ci si sbizzarriva di più «con carezze interminabili, instancabili leccamenti, baci dolcissimi». Ma, come si vede, si trattava pur sempre di attività fisiche, non mentali, non erotiche in senso stretto. La differenza fra rapporto coniugale ed extraconiugale era solo quantitativa, non qualitativa.
In secondo luogo, e direi soprattutto, era completamente diversa la concezione e la funzione della famiglia. Quegli uomini e quelle donne erano preparati psicologicamente e mentalmente, per motivi di interesse ma non solo, ad avere molti figli. Fatto il primo non c'era un tracollo della tensione erotica, dato che questa aveva una parte marginale nel rapporto, e tutto filava sull'onda di una sessualità più naturale. Avuto il primo figlio era più facile arrivare, sullo slancio, al secondo, al terzo, al quarto, al quinto e oltre. A questo punto, vicina alla menopausa, la donna, non insidiata, a differenza di oggi, dal mito dell'eterna giovinezza, si disponeva abbastanza serenamente alla vecchiaia mentre l'uomo – che nel sesso è maggiormente mentale e ha quindi una pulsione erotica che si protrae più a lungo nel tempo – esauriva le ultime velleità con qualche bagatella. Ma non era disposto a sacrificare la ricchezza, sentimentale, affettiva, emotiva e anche economica, di una famiglia così numerosa, il complesso degli stimoli e anche il divertimento che gli venivano dalle interrelazioni fra i suoi diversi componenti, dai loro legami e dai loro conflitti, e insomma dal variegato microcosmo che si era costruito, per un' avventuretta di poco conto.
È chiaro invece che la famiglia di oggi, mononucleare, con un solo figlio, basata sull'eros più che sul sesso, tenuta insieme dal labile legame sentimentale piuttosto che dà più solide ragioni di interesse, bombardata da una pubblicità asfissiante che presenta prototipi maschili e soprattutto femminili inarrivabili, di fronte ai quali il proprio partner rivela tutta la propria insufficienza, formata da individui convinti da una propaganda martellante che l'età non conta, quasi che l'uomo fosse diventato immortale, e che quindi si è sempre in tempo per nuove storie, nuovi rapporti, nuovi progetti di vita, be' è chiaro che una famiglia simile è molto più fragile e, come di fatto avviene, predisposta ad andare in frantumi al primo urto.

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Redazione