Petrodollaro addio

I produttori di petrolio dell'OPEC (40% della produzione mondiale) sono pronti a lasciare il dollaro nelle transazioni internazionali, annuncio dato da Abdullah-al-Badri, segretario generale dell'Opec, in una intervista al settimanale Middle East Economic Digest. Alla notizia della probabile decisione dell'Opec l'euro è salito contro dollaro oltre 1,45.
 La "top model" Gisele, la più pagata al mondo, rifiuta di ricevere compensi in dollari, che considera "deboli e inaffidabili". Il "rapper" americano JayZ ha realizzato un videoclip che lo mostra in giro per le strade di Manhattan mentre esibisce mazzette da 500 euro. Per le strade di New York negozianti e persino tassisti accettano gli euro più volentieri dei dollari.Anche in India, Perù, Vietnam i dollari sono accettati con difficoltà e resistono solo a Panama ed Ecuador.
Sono segnali espliciti di un evento storico epocale, che vede finire l'egemonia USA nel mondo, quella economica, industriale e monetaria, e speriamo presto anche quella militare.Gli ex-padroni del mondo, che fino a pochi anni fa producevano il 45% della ricchezza mondiale, oggi sono sotto il 20% e questo spazio è stato occupato da altre economie, quella cinese in testa, e quindi la crisi non è ciclica ma strutturale.
Gli Usa sono il paese più indebitato del mondo e se la Cina o i paesi arabi, che hanno enormi capitali, azioni, titoli di stato e investimenti in quel paese, desiderassero liberarsi di questi beni e convertirli in denaro sonante, l'America chiuderebbe per bancarotta.
Ultimamente gli Usa si sono macchiati di una gigantesca truffa, quella dei titoli "subprime" con cui hanno inondato l'Europa, causando perdite di centinaia di miliardi di euro. Una massa di denaro che è responsabile di una brusca frenata dell'economia europea nel suo insieme. Questi falsi amici ci hanno buttato addosso la loro irresponsabilità legata al fatto che oggi i cittadini americani vivono al di sopra delle loro possibilità e non accettano di ridimensionarsi a cominciare dalle enormi spese militari.
L'ingresso dell'Euro nella scena mondiale, la sua costante rivalutazione contro dollaro, il peso della economia europea che nel suo insieme è ormai pari a quella Usa, sono i fattori che, assieme alla crescita cinese, dell'India, del Brasile, hanno incrinato una egemonia che durava dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ormai per gli Usa siamo dei concorrenti e degli antagonisti, basta saper valutare come ostili gli ostacoli che ci mettono, tramite la complice Inghilterra, per una Europa anche politica che parli con una sola voce. Basta capire la volontà di creare frizioni tra Europa e Russia con lo scudo spaziale, che significa il cinico tentativo di non far integrare economie tra confinanti, che sono già integrati dal fatto che senza il gas russo l'Europa sarebbe spenta e al freddo. La stessa posizione americana a favore della indipendenza del Kosovo dalla Serbia (ma non si capisce perché interferiscono in una faccenda che non li riguarda), osteggiata da Mosca, significa soffiare sul fuoco per impedire all'economia europea di svilupparsi verso la Russia e il Medio Oriente.
L'Europa, se sa guardare avanti, si deve liberare di questo alleato che ormai si comporta da padrone a casa nostra, continua a occuparci militarmente con la Nato e continua a coinvolgerci nelle sue sporche guerre che ci danneggiano politicamente ed economicamente.L'impero americano e il dollaro non hanno futuro. E' meglio puntare all'interscambio con altri paesi e sganciarci da questi soggetti, che, come pugili suonati, continuano a picchiare anche a match concluso.

Paolo De Gregorio – 10/02/2008
Arianna Editrice 

Euroil, la borsa iraniana di Kish: attacco al petrodollaro

E’ di questi giorni la notizia riportata dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti, che il rublo potrebbe essere utilizzato come valuta per gli scambi petroliferi, il ministro delle fonti energetiche iraniano Gholam Hussein Nozari ha così riproposto un tema di primissimo piano a livello mondiale, la sostituzione del dollaro come valuta per gli scambi petroliferi, il che avverrebbe con il lancio della nuova borsa petrolifera nell’isola di Kish, inaugurata il 17 febbraio, tramite una video conferenza dalla capitale Teheran, con una cerimonia a cui hanno partecipato i ministri delle finanze, petrolio ed economia, il presidente della Borsa Iraniana e funzionari governativi. Al momento gli scambi saranno fatti utilizzando  il “rial “ iraniano. Non solo l’Iran preme per arrivare alla totale indipendenza dal dollaro, imposto fino ad oggi dagli Usa come unica moneta di scambio per acquistare il petrolio, ma anche la Russia , il Venezuela e la Cina sono sempre più insofferenti al monopolio Usa–$ .

L’isola di Kish si trova nel Golfo Persico,Iran meridionale,  18 km dalla costa iraniana, vicinissima all’imbocco dello stretto di Hormuz, dove ogni giorno transitano le enormi petroliere con gran parte del petrolio venduto nel mondo. Già nella vittoriosa campagna elettorale  del 2005, il presidente Ahmadinejad diede l’annuncio  che nella piccola isola sarebbe sorta la nuova borsa per gli idrocarburi. I proprietari azionisti sono la National Iranian Oil Refing and Distribution, la National Iranian Oil, l’Iran Oil Industry Pension ad Deposit Fund, la Theran Stock Exchange, la Mostazafan Foundation e la Kish Free Zone, ciò darebbe all’Iran il controllo totale sull’operazione, ponendosi in alternativa alle due piazze che ora hanno il monopolio sulla vendita dell’oro nero: La International Petroleum Exchange di Londra e la statunitense New York Mercantile Exchange, ma ambedue controllate da capitale Usa. Di fatto sono gli Stati Uniti i veri controllori di tutte le transazioni petrolifere sul pianeta, un’eredità avuta dopo la Seconda Guerra Mondiale e capitalizzata fino ad oggi.Ma il pericolo ora rappresentato dalla borsa iraniana è doppio: la creazione di un polo antagonista ai due anglo americani e l’eventuale utilizzo dell’Euro, un domani, coma valuta primaria.

Tutto ciò a prima vista potrebbe sembrare solo l’effetto della logica del “mercato”, tanto strombazzata da chi detiene il potere finanziario e usurocratico mondiale per poi entrare nei sistemi economici delle nazioni, quanto poi ostracizzato quando invece mette a rischio l’egemonia Usa e della sua moneta.  Prima però un passo indietro , al luglio del 1944, a Bretton Woods ,nel New Hampshire, dove si trovarono a convegno i futuri vincitori della Seconda Guerra Mondiale, con l’obiettivo dichiarato di “ ricostruire  il sistema economico internazionale”, dopo l’attacco che le potenze dell’Asse ed i loro nuovi sistemi economici gli avevano sferrato. Al Gold Standard, sistema di cambi basato sull’oro, in auge fino ad allora, gli americani imposero di trasformare il dollaro come moneta di riserva internazionale, con un valore fisso dollaro-oro, da qui di seguito la creazione del FMI, che si sarebbe poi trasformato nel braccio armato della finanza internazionale, per scardinare le economie non capitaliste. Alla fine si raggiunse un accordo che basava la convertibilità del dollaro in oro a 35 dollari per un’oncia d’oro. In teoria chiunque avrebbe potuto chiedere in cambio dei dollari in suo possesso, l’equivalente in oro, ma questo solo in teoria…

Nei primi anni “70 si intravidero le prima crepe del sistema creato a Bretton Woods. La nuova concorrenza dell’Europa, risorta dopo la guerra, la guerra del  Viet Nam, crearono un deficit enorme nelle casse Usa, con un disavanzo medio di 3 miliardi di dollari, che divennero 25 miliardi nel 1968 e  quando gli investitori esteri iniziarono a chiedere la restituzione dell’oro in cambio dei dollari, il presidente Nixon prese la drastica decisione di bloccare la convertibilità del dollaro con l’oro. In pratica chi aveva accumulato dollari , perché imposti dalla potenza dominante nelle transazioni internazionali, si venne a  ritrovare carta che non poteva più essere scambiata con il prezioso metallo giallo.

Ma per il dollaro si aprivano nuovi scenari, esso fu allora ancorato al petrolio, in altre parole tutte le transazioni dovevano avvenire in moneta Usa, in cambio di questo le amministrazioni americane s’impegnavano a “proteggere gli stati produttori del Golfo” da ipotetiche guerre, l’Opec che stava valutando l’utilizzo di monete alternative, anche alla luce dell’elevata instabilità della regione percorsa dalle guerre arabo-israeliane, alla fine accettò “l’imposizione statunitense”. La presenza d’Israele, cuneo destabilizzante nel Vicino Oriente e le guerre con gli arabi portarono così solo vantaggi alla politica economica degli Usa nella regione: controllo delle fonti petrolifere e imposizione del dollaro come unica moneta di scambio di tale bene.” Chi controlla il dollaro, controlla il petrolio e chi controlla il petrolio governa il mondo o quasi…”I petrodollari danno a tutt’oggi un potere enorme agli Stati Uniti , il potere sulla moneta e sulla possibilità di stampare biglietti infinite volte, anche a fronte di un’ economia in recessione, rende gli Usa di fatto un “impero”, anche se non nel significato classico che diamo noi europei, perciò non portatore di valori e civiltà ,ma teso unicamente ad accaparrarsi le ricchezze mondiali per sostenere un  sistema di sviluppo liberal capitalista che non può fermarsi, pena la sua fine. Il Fondo Monetario Internazionale fu il lungo braccio per gestire questo enorme potere, molte ,dopo la crisi petrolifera del 1970, le nazioni che dovettero indebitarsi  per acquistare petrolio, cosa che fu gestita egregiamente dal FMI, che impose sempre il dollaro come mezzo per ripianare i debiti contratti . “Si creava così un giro perverso dove il dollaro divenne sovrano, elemento anche di controllo politico, e perquesto gli Usa non hanno mai accettato di cancellare i debiti dei paesi in via di sviluppo, cosa che impedirebbe loro d’interferire negli affari interni degli stessi”. Un dato emerge eloquente: se nel 1971 era l’oro a rappresentare  almeno il 50% delle riserve finanziarie mondiali, oggi al 95% è il dollaro.

L’economia americana, sia pure con una bilancia dei pagamenti negativa, che la vede al primo posto con 862 miliardi di dollari nel 2006, continua ad espandersi, anche se il punto di rottura parrebbe non lontano. Un esempio per meglio comprendere il sistema: Se la nazione x  ha necessità di petrolio e lo acquista dall’Opec,  deve prima acquistare dollari dagli Usa perché il petrolio si compera solo in dollari e per fare questo cede agli Usa beni come auto, macchinari ecc..Gli Usa non  fanno altro che emettere dollari e li danno alla nazione x in cambio  delle  merci, quindi l’Opec riceve dollari da x  per il petrolio. Poi il giro continua, perché una parte della valuta Usa è utilizzata nei paesi produttori di petrolio, ma una parte viene reinvestita negli stessi Usa. In pratica tutto parte dalla Federale Reserve e tutto ritorna negli Stati Uniti tramite investimenti in beni immobili, buoni del tesoro, azioni, andando ad aumentare il debito pubblico Usa, che continua a crescere.

Questo giocattolo, come lo si potrebbe definire, rischia di essere rotto se qualcuno decidesse finalmente di utilizzare un’altra moneta e non più i dollari per le transazioni petrolifere. Come si è visto il gioco sembra infinito, perché dietro vi è anche la potenza militare e la forte influenza che gli Stati Uniti hanno acquisito dopo la Seconda Guerra Mondiale, imponendo le loro ricette economiche, ma basta un granello ed il meccanismo, per quanto oliato s’incepperebbe costringendo la superpotenza a trovare altre strade per sostenere la propria economia ed il tenore di vita.

E per mantenere questo vantaggio gli Usa sono disposti a tutto , anche a scatenare una guerra preventiva, cosa che  hanno già fatto contro l’Iraq di Saddam. La chiave di lettura che spesso si da all’invasione dell’Iraq è quella del controllo del prezioso oro nero, ma un’altra lettura più attenta può esser data senza tema di smentite: l’Iraq stava per abbandonare le transazioni in dollari nella vendita del suo petrolio e la cosa poteva contagiare altri esportatori mondiali, con conseguenza catastrofiche. Nell’ottobre del 2000 Saddam prese la decisione di convertire in euro il fondo che l’Iraq aveva presso l’Onu come finanziamento per acquistare cibo in cambio di petrolio. Numerosi furono i problemi durante la gestione di questo fondo, molti gli scandali che videro coinvolti funzionari delle Nazioni Unite, ma il detonatore contro il dollaro era stato innescato, attraverso un conto aperto presso la banca francese Bnp Paribas in euro, l’Iraq di fatto convogliava i soldi ricavati  dalla vendita del petrolio,dal fondo Onu alla banca francese creando così i primi petroeuro.

Per gli Stati Uniti questo equivaleva ad una vera e propria dichiarazione di guerra, peggio di una atomica, ed appena invasa Baghdad si affrettarono a far chiudere il fondo al loro burattino Kofi Annan e cambiare gli euro ancora una volta in dollari. Il tentativo del Rais era stato letto come un’attacco al sistema finanziario anglo americano, a Wall Street e nella City londinese si era temuto il peggio e solo dopo l’invasione dell’Iraq  ritornò la calma, almeno per ora. Le cause spesso identificate nelle armi di distruzione di massa, mai trovate, che vedono tutt’ora gli Usa sul suolo iracheno, non sono altro che falsi scopi per distogliere l’opinione pubblica. La difesa del dollaro, ad oltranza, era la ragione di fondo e con la morte di Saddam, ci fu  un chiaro ammonimento ai futuri dissidenti: non cambiate moneta o vi attacchiamo! Ma ora nella contesa sono entrati anche nazioni che non hanno certo l’esiguità militare e demografica dell’Iraq. L’Iran, oltre ad un vasto territorio, conta milioni di abitanti ed un potenziale militare non trascurabile, certamente in un confronto con gli Usa non avrebbe possibilità di vittoria, ma a fianco della Persia c’è la Russia di Putin, che possiede immensi giacimenti petroliferi e di gas naturale e la forza dissuasiva nucleare , ed inoltre collabora attivamente con Tehran sul piano economico. La cooperazione tra i due stati è fonte di perenne apprensione alla Casa Bianca. Putin ha già fatto capire in più di un’occasione che non accetterà condizionamenti in politica estera ed economica . La Cina, che si sta affacciando da poco nella grande competizione geopolitica, ha la vitale necessità di avere fonti energetiche in gran quantità  e stipula accordi diretti con i paesi produttori, mentre prosegue il rafforzamento della propria flotta, per garantire le rotte mercantili alle proprie navi. Il Venezuela di Chavez  è sempre più insofferente all’influenza Usa nel continente latinoamericano, che gli americani hanno sempre considerato il loro “cortile di casa” , e non chiede di meglio che poter vendere il proprio petrolio ( Caracas è il 5° produttore mondiale) in valute che non siano il dollaro.
La contesa è iniziata, si potrebbe dire, ora senza più l’alibi della cosiddetta” guerra al terrorismo”, vedremo con quali scuse l’amministrazione americana interverrà, contro i cattivi di turno che mettono in discussione la sua moneta. 

Federico Dal Cortivo – 21/02/2008

Redazione