A governo e comune manca il coraggio.
Il coraggio se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Viviamo in un Paese di Don Abbondio e in una città di irresponsabili – nel senso letterale della parola – e a provarlo è la questione del “Dal Molin americano”. Abbiamo un governo che, come tutti i governi italiani precedenti, se la fa sotto con gli Americani e non ha il coraggio di dire no. Cosa che, se il tanto decantato e salvifico “Programma” elettorale non fosse carta straccia, dovrebbe fare senza se e senza ma, come piace dire a certi sinistrorsi.
Perché nel Vangelo secondo l’Unione sta scritto: “riduzione delle servitù militari”. Vogliamo cominciare, finalmente, un’opera di bonifica del nostro territorio nazionale e riprenderci la nostra sovranità anche militare, delegata agli Americani ancor oggi quando ciò è del tutto anacronistico? Bene fa l’Osservatorio sulle servitù militari di Vicenza a porre il problema generale della schiavitù delle basi Usa in Italia. Solo che la nostra terapia è diversa: dotiamo l’Europa di un proprio esercito autonomo dalla Nato, proprio in funzione anti-americana. E già che ci siamo, mettiamo una bella pietra sopra anche alla Nato stessa, un’organizzazione tenuta in piedi soltanto per consentire a Washington di mantenere sotto controllo gli “alleati” europei. Il governo passa il cerino all’amministrazione locale. E qui abbiamo un sindaco che fa questo strampalato – anzi no, furbo – e pavido ragionamento: il governo secondo la legge e le esigenze di politica internazionale ha l’ultima parola su una nuova installazione straniera da far sorgere su un terreno di demanio militare. Allora io mi guardo bene dall’assumermi alcuna responsabilità, così la contestazione se la becca lui. Però il sindaco dimentica un piccolo particolare: a essere responsabile della città e dei suoi cittadini che subirebbero le conseguenze di un raddoppio della presenza yankee è lui, non il governo. Lui bada alla lettera della legge ma non agli interessi della sua città: bene, complimenti, tanto valeva far decidere al prefetto che è di nomina governativa e non deve rispondere alla cittadinanza. Mossa sublime ammettere che il No è in maggioranza, e affermare che di questo dilagante No il governo non vuole farsi carico. A questo punto chiediamo: se nessuno ha il coraggio di dire un chiaro e definitivo No, perché gli Americani non strepitano, non si lamentano, stanno in silenzio, eccetto qualche parolina privata dell’ambasciatore Spogli e una striminzita smentita a un settimanale? Forse perché in realtà tutti – loro, governo e Comune – sanno già che si farà sulla testa dei cittadini di Vicenza? Sguatteri degli Americani, il nostro destino è sempre quello: non avere un briciolo di coraggio e di responsabilità.
La soluzione potrebbe essere – per noi è sempre la via maestra – la democrazia diretta locale: un referendum della città. Peccato solo che abbia ancora un puro valore consultivo e non, come hanno sancito i magnifici 11 mila al voto referendario del 10 settembre scorso, vincolante. Perciò la richiesta da parte del centrosinistra di far votare i vicentini è sì un segnale positivo, ma rimane pur sempre uno strumento aleatorio e inconcludente, finchè restiamo in regime di democrazia rappresentativa (cioè di falsa democrazia). Sempre ammesso che si riesca a indirlo, un referendum: c’è abbastanza tempo? Noi non lo crediamo. Soprattutto non crediamo che ai nostri “rappresentanti” politici interessi veramente dare l’ultima parola alla popolazione locale, l’unica ad avere il diritto di decidere del proprio futuro.
29 settembre 2006
Filippo Trivellin
Presidente Gruppo Vicenza Movimento Zero