«Alzatevi, tutti voi che rifiutate di essere schiavi! Che il nostro sangue e la nostra carne diventino la nuova Grande Muraglia!» Così inizia l´inno nazionale della Repubblica popolare.Di recente molti cinesi ne hanno adottato la musica come suoneria dei loro telefonini, con un testo modificato: «Alzatevi, tutti voi che non avete ancora un conto-titoli! Investite i vostri soldi in Borsa, questa è la nuova passione del popolo!» Fino a qualche tempo fa potevamo sorridere della febbre speculativa che ha contagiato qualche centinaio di milioni di cinesi, provocando un rialzo del 130% dell´indice azionario di Shanghai dall´inizio dell´anno. Ora la ventata di paura che ha investito i mercati finanziari mondiali sconsiglia le facili ironie. I «maturi» risparmiatori dei paesi ricchi non sembrano molto più lucidi, né meglio tutelati, dei cinesi che giocano alla Borsa di Shanghai come fosse una succursale dei casinò di Macao. La bancarotta degli hedge fund collegati ai mutui-casa insolventi potrebbe essere solo la prima di una serie di crisi, destinate a scoperchiare infezioni endemiche dell´economia su cui abbiamo chiuso gli occhi a lungo.
Altre bolle speculative minacciano i nostri risparmi – dalla sopravvalutazione delle Borse nei paesi emergenti al colossale debito estero dell´America – e tutta l´impalcatura delle regole e dei controlli rivela gravi falle.
Ancora pochi giorni fa molti si illudevano che la catastrofe dei «mutui facili» coinvolgesse solo pochi operatori spericolati, gestori di fondi altamente speculativi, e che quindi si sarebbe potuta circoscrivere. Il brusco risveglio è avvenuto giovedì. Una delle più grandi e rispettate banche europee, la Bnp Paribas che controlla anche l´italiana Bnl, è diventata un focolaio di panico.
Appena tre settimane fa i suoi dirigenti avevano rassicurato i mercati: secondo loro «tutto era in ordine», gli hedge fund del colosso bancario francese erano immuni dal disastro americano dei mutui insolventi. Tre giorni fa, dietrofront. La stessa banca ha rivelato che tre hedge fund da lei gestiti sono virtualmente spariti, è impossibile rimborsare gli investitori che vogliono venderne le quote. Questo significa che con le rassicurazioni precedenti la Bnp aveva preso in giro i suoi clienti. Si è ripetuta così sul mercato europeo una commedia degli inganni già messa in scena negli Stati Uniti. Oltreoceano il primo protagonista era stato la banca Bear Stearns. Le pesanti perdite sui titoli legati ai mutui insolventi erano emerse a febbraio ma il management della Bear Stearns ha atteso ben cinque mesi per ammettere (a luglio) il crac di alcuni suoi fondi, il cui valore si è azzerato. Poco dopo un altro nome illustre dell´alta finanza americana, la Goldman Sachs, ha rimediato una figuraccia analoga.
Non si sa se ridere o piangere di fronte alla notizia che la Consob giapponese annuncia ora un severo giro di vite sugli hedge fund, sospettati di manipolazioni irregolari e reati di insider trading. L´autorità di vigilanza della Borsa di Tokyo – la terza del mondo per capitalizzazione – sembra avere «scoperto» di colpo un universo di pirateria che era familiare a qualunque lettore attento della stampa economico-finanziaria internazionale.
Mancanza di trasparenza, regole contabili inadeguate, menzogne sistematiche ai mercati: tutto questo in realtà era noto alle autorità di vigilanza, ma i banchieri centrali e altre authorities di controllo si accontentavano di dedicarvi dotte relazioni nei loro convegni sui rischi della finanza derivata. Ora che il tema finisce in apertura dei telegiornali è un po´ tardi, e il conto si annuncia salato.
Svaniscono di colpo leggende di onnipotenza che erano fiorite attorno a quei fondi d´investimento gestiti da geni della matematica, premi Nobel dell´economia che siedono nei comitati di consulenza e nei consigli d´amministrazione. Per anni è fiorito il mito dei «modelli quantitativi», prodigi della scienza statistica manovrati con sofisticate tecnologie informatiche. Strumenti che promettevano l´infallibilità, profitti generosi, rischi ridotti al minimo. Di fronte a un disastro talmente prevedibile da essere quasi scontato – la fine della bolla immobiliare americana, il crollo dei valori delle case – i supercervelloni sono andati in tilt tutti assieme. I raffinati modelli matematici non si sono salvati dalla «psicologia del gregge», quella che regolarmente spinge alla rovina eserciti di risparmiatori ipnotizzati dalla chimera dell´arricchimento facile. Perfino l´amministrazione di Harvard – l´università che ha sfornato generazioni di supereconomisti – sta perdendo a rotta di collo nel crac degli hedge fund e dei mutui insolventi.
Le manovre d´emergenza delle autorità monetarie di fronte al panico delle Borse non sono immuni da critiche. Quando la Bnp ha gettato la spugna sui tre hedge fund, la Banca centrale europea ha avviato un´operazione senza precedenti per puntellare la stabilità del sistema. In due giorni l´istituto di Francoforte ha inondato i mercati di liquidità, più di quanto avesse fatto dopo l´attacco alle Torri gemelle dell´11 settembre 2001. La Bce ha temuto che l´annuncio della Bnp potesse creare un´onda di sfiducia tale da paralizzare il mercato interbancario che è la linfa vitale del credito quotidiano per le nostre economie. Certo un collasso del credito va evitato ad ogni costo: le imprese farebbero fatica a finanziare gli investimenti, la crescita economica soffrirebbe. Ma l´intervento eccezionale della Bce ha avuto un effetto indesiderato. Anziché tranquillizzare i mercati ha accentuato il livello dell´ansia. Molti operatori si sono detti: «La Bce sa qualcosa che non sappiamo». Si è diffuso il sospetto che dietro la Bnp possano esserci altre banche con «buchi» ancora nascosti. Il clima di diffidenza generalizzata la dice lunga sui nostri banchieri. Evidentemente sono i primi a non fidarsi gli uni degli altri, devono avere una pessima opinione riguardo alla trasparenza dei conti delle loro aziende.
Si spera che questi scossoni servano a stimolare una riflessione critica sul mondo del cosiddetto risparmio gestito. E´ noto che da anni la maggior parte dei fondi comuni d´investimento danno risultati modesti, spesso inferiori ai banalissimi Bot. Quel che è peggio, il «contenuto» di tanti fondi è largamente ignoto anche ai risparmiatori più smaliziati. Si scopre, per esempio, che certi fondi monetari – quelli che dovrebbero offrire un rendimento modesto ma sicuro, una elevata liquidità e quindi un parcheggio sicuro per i risparmiatori – possono contenere nella loro pancia i famigerati titoli legati ai rischiosissimi «mutui scadenti». Le gestioni patrimoniali, con la discrezionalità che caratterizza il comportamento del gestore, possono essere altrettanto opache. Le banche fanno a gara da anni nell´inventare strumenti finanziari che presentano come solidi e appetibili per la clientela, mentre in realtà l´obiettivo primario è ingrassare di commissioni i bilanci degli istituti di credito. La concorrenza tra banche non si traduce in un vero beneficio per i consumatori, e le denunce delle authorities restano grida al vento.
I mercati emergenti, su cui sono affluiti altri 11 miliardi di dollari di investimenti stranieri solo nelle ultime quattro settimane, sono un´altra bomba a orologeria. Oltre alla Borsa di Shanghai – così poco affidabile che lo stesso governo cinese ha lanciato avvisi di cautela ai risparmiatori – dall´inizio dell´anno il mercato del Pakistan ha guadagnato il 36%, quello turco il 31%, la Borsa brasiliana il 22%. Dall´India alla Cina i mercati immobiliari hanno raggiunto livelli comparabili a Miami e Los Angeles prima dello «scoppio». In questo scenario già teso si è appena aggiunto un nuovo elemento preoccupante. La Cina, che ha le più importanti riserve valutarie del mondo (si avviano a raggiungere i 1.500 miliardi di dollari) ha per la prima volta minacciato di fare un uso politico di quelle munizioni finanziarie. Se l´America dovesse imboccare la via del protezionismo contro il made in China – o se le Olimpiadi del 2008 diventassero il teatro di una grande campagna occidentale sui diritti umani – Pechino potrebbe sfoderare la sua nuova «arma nucleare». Cessando di acquistare i buoni del Tesoro americani, o anche solo diminuendo l´intensità degli acquisti, la Cina può mettere in serie difficoltà l´indebitatissima superpotenza occidentale. Ci manca solo lo spettro di una ritirata dei sino-dollari, per far esplodere le contraddizioni dell´economia globale.
La Repubblica, 12 Agosto 2007