L'anno 1913 segna una svolta nella storia della medicina moderna. All'incirca da quella data, il paziente ha più di una probabilità su due che un medico laureato gli somministri una cura efficace, purché ovviamente il suo male sia registrato dalla scienza medica dell'epoca. Gli sciamani e i guaritori, con la loro pratica dell'ambiente naturale, non avevano aspettato tanto per ottenere risultati analoghi, in un mondo dove la salute era concepita diversamente.
Da allora, la medicina non ha fatto che perfezionare la definizione delle malattie e la somministrazione delle cure. La popolazione dell'Occidente ha imparato a sentirsi malata e a farsi curare conformemente alle categorie di moda nell'ambiente medico. La clinica è stata sempre più dominata dall'ossessione quantitativa, ciò che ha permesso ai medici di misurare la portata dei loro successi con criteri da essi stessi stabiliti. La salute è divenuta così una merce in una economia di sviluppo. Questa trasformazione della salute in prodotto di consumo sociale ha trovato riscontro nell'importanza attribuita alle statistiche sanitarie. Ma i dati statistici sui quali sempre più si fonda il prestigio della professione medica non dipendono, per la parte essenziale, dalla sua attività.
La riduzione a volte spettacolare della morbilità e della mortalità all'inizio del processo di industrializzazione di un paese è dovuta soprattutto alle modificazioni dell'habitat e del regime alimentare, e all'adozione di elementari misure d'igiene. Le fognature, il trattamento dell'acqua col cloro, la carta moschicida, l'asepsi e i certificati sanitari richiesti per viaggiare, prostituirsi o lavare i piatti hanno avuto un'influenza benefica assai maggiore dell'insieme dei complessi «metodi» di cure specialistiche. Nell'Honduras come in Olanda, il progresso della medicina si è espresso più nel controllo dei tassi di incidenza che nell'aumento della vitalità degli individui.
In un certo senso, più che l'uomo è stata l'industrializzazione a trarre profitto dai progressi della medicina: si è infatti riusciti a far lavorare la gente più regolarmente in condizioni più disumanizzanti. Nascondendo il carattere profondamente distruttivo delle nuove attrezzature, del lavoro alla catena e del regno dell'automobile, si sono esaltate certe cure spettacolari che si applicano alle vittime dell'aggressione industriale nelle sue varie forme: velocità, tensione nervosa, avvelenamento dell'ambiente. E il medico si è trasformato in mago, unico essere in grado di compiere miracoli che esorcizzino la paura nascente dal sopravvivere in un mondo divenuto minaccioso.
Contemporaneamente, i mezzi per diagnosticare la necessità di certe cure e lo strumento terapeutico corrispondente si venivano semplificando. Ormai chiunque potrebbe accertare da solo una gravidanza e praticare un aborto, riconoscere e curare quelle malattie veneree che un secolo fa erano incurabili, apprendere nella pratica come evitare sia una gravidanza sia un'infezione. Il paradosso è che quanto più lo strumento diventa semplice, tanto più la professione medica si sforza di conservarne il monopolio. Più l'iniziazione del terapeuta si prolunga, più la popolazione dipende da lui per l'applicazione cosciente delle scoperte importanti e per il miglioramento della vita quotidiana. L'igiene, che l'antichità considerava una virtù, diviene il rituale che un corpo di specialisti celebra sull'altare della scienza.
Dopo la seconda guerra mondiale, cominciò a divenire chiaro che la medicina moderna ha pericolosi effetti secondari sulla salute individuale. Ma c'è voluto del tempo perché i medici identificassero la nuova minaccia rappresentata dai microbi divenuti resistenti alla chemioterapia, o studiassero gli effetti cancerogeni degli insetticidi, o riconoscessero un nuovo genere di epidemie nei disordini genetici dovuti all'impiego degli ormoni o dei raggi X durante la gravidanza. Trent'anni prima, Bernard Shaw già lo rilevava: i medici, diceva, hanno smesso di guarire per impadronirsi dell'intera vita dei loro pazienti. Si è dovuto attendere gli anni Cinquanta perché questo rilievo divenisse evidenza manifesta: producendo nuovi tipi di malattie, la medicina aveva superato una seconda soglia di mutazione.
Al primo posto fra i guasti causati dalla professione, bisogna collocare quella vera e propria malattia «mentale» consistente nella pretesa di fabbricare una salute «migliore». Le prime vittime di questo male iatrogeno (generato cioè dai medici) sono stati i pianificatori e i medici. Ben presto l'aberrazione si è diffusa nell'intero corpo sociale, e nel corso degli ultimi quindici anni la medicina specialistica è divenuta la più concreta minaccia per la salute. Quando infatti non la danneggia, razionalizza e giustifica l'aggressività. Mi è capitato di esaminare una bibliografia tedesca di circa 13000 contributi recenti nel campo della «medicina del traffico»: non contiene un solo studio che mostri dal punto di vista della scienza medica come questo genere specifico di mali, che nei paesi sviluppati costituisce la causa più generale di mortalità in età adulta-produttiva, potrebbe essere virtualmente eliminato se le velocità veicolari venissero limitate al di sotto di un certo livello.
D'altra parte, somme colossali vengono spese al solo scopo di tamponare i danni incommensurabili prodotti dalle cure mediche. Ciò che costa non è tanto la guarigione, quanto il prolungarsi della malattia: ammalati ormai morenti possono vegetare a lungo imprigionati in un polmone d'acciaio, attaccati a un tubo di perfusione o sospesi al funzionamento di un rene artificiale. Sopravvivere in città insalubri, in condizioni di lavoro debilitanti, costa sempre più caro. Il monopolio medico estende la sua azione a un numero sempre crescente di situazioni della vita quotidiana. E non soltanto il trattamento medico, ma anche la ricerca biologica ha contribuito a questa proliferazione delle malattie. Gente che in passato aveva imparato a vivere con le proprie malattie, oggi viene imbottita di medicine. Ogni invenzione di un nuovo modo di vivere e di morire ha portato con sé la parallela definizione di una nuova norma e, in corrispondenza con questa, la definizione di una nuova devianza, di una nuova malignità. Infine, reso impossibile alla nonna, alla zia o alla vicina di prendersi cura della donna incinta, del ferito, del malato, dell'invalido o del morente, si è creata una domanda impossibile da soddisfare. Man mano che il prezzo del servizio aumenta, la cura personale diventa più difficile e spesso impossibile. Nello stesso tempo, il ricorso al medico viene ritenuto necessario per una serie sempre più vasta di indisposizioni comuni, sicché si moltiplicano specializzazioni e paraprofessioni il cui unico scopo è di mantenere l'esercizio terapeutico sotto il controllo della corporazione. Quando, per l'azione del medico, l'incapacità della popolazione in generale di provvedere alla propria igiene comincia a crescere, si arriva a una nuova svolta dell'istituzione medica.
Giunti a questa seconda soglia, è la vita che appare malata, in un ambiente deleterio. Attività principale, e grosso affare, della professione medica diventa quella di preservare una popolazione sottomessa e dipendente. (…)Negli Stati Uniti bisogna essere ricchissimi per pagarsi il lusso che tutti si permettono nei paesi poveri: essere assistiti sul letto di morte. In due giorni d'ospedale, un americano spende una cifra pari al reddito medio annuo in contante della popolazione mondiale. Nei paesi poveri, grazie alla medicina moderna, un maggior numero di bambini arriva all'adolescenza, e un maggior numero di donne sopravvive a gravidanze più numerose. La popolazione aumenta, supera la capacità di ricezione dell'ambiente naturale, rompe gli argini e le strutture della cultura tradizionale. Il male che ne deriva è ben peggiore di quello sanato, poiché si generano nuove specie di malattie che né la tecnica moderna né l'immunità naturale né la cultura tradizionale riescono a sconfiggere.
Su scala mondiale, e in particolare negli Stati Uniti, la medicina fabbrica una razza di individui dipendenti per la loro sopravvivenza da un ambiente sempre più costoso, sempre più artificiale, sempre più igienicamente programmato. Al congresso dell'American Medical Association del 1970, il presidente, senza sollevare opposizione alcuna, esortava i colleghi pediatri a considerare ogni neonato alla stregua di un paziente fino a che non se ne fosse certificato lo stato di buona salute. I piccoli nati all'ospedale, nutriti su prescrizione, rimpinzati di antibiotici, divengono poi adulti che respirano un'aria viziata, si nutrono di cibi avvelenati e vivono un'esistenza di spettri nella grande città moderna. Sarà per loro ancora più costoso allevare i propri figli i quali, a loro volta, saranno ancora più dipendenti dal monopolio medico. Il mondo intero diventa un ospedale, popolato da gente che, per tutta la vita, deve attenersi scrupolosamente ai regolamenti d'igiene e alle prescrizioni sanitarie.
Questa medicina burocratizzata sta conquistando l'intero pianeta. Nel 1968, vent'anni dopo la rivoluzione, il Collegio di medicina di Shangai si è dovuto arrendere all'evidenza: «Produciamo dei cosiddetti medici di prima classe… che ignorano l'esistenza di 500 milioni di contadini e servono solo le minoranze urbane,… assorbono ingenti spese di laboratorio per esami di routine,.. prescrivono senza necessità enormi quantità di antibiotici… e, in mancanza di ospedali e laboratori, si trovano ridotti a spiegare i meccanismi della malattia a persone per le quali non possono fare altro e alle quali quella spiegazione non reca utilità alcuna». Questa presa di coscienza, durante la «rivoluzione culturale», ha condotto a una inversione dell'istituzione e nel 1971, come riferisce lo stesso Collegio, si erano ormai formati un milione di «lavoratori della salute» dotati di un accettabile livello di competenza. Si tratta di operai o contadini che durante la stagione morta seguono dei corsi accelerati: imparano la dissezione su un maiale, eseguono le analisi di laboratorio più comuni, apprendono nozioni elementari di batteriologia, patologia, clinica medica, igiene e agopuntura. Poi fanno un tirocinio pratico con medici o «lavoratori della salute» già provetti. Dopo questa prima formazione, questi «medici scalzi» riprendono il loro consueto mestiere, assentandosi dal lavoro dei campi solo quando è necessario per occuparsi dei loro compagni. I compiti affidati alla loro responsabilità includono l'igiene dell'ambiente di vita e di lavoro, l'educazione sanitaria, le vaccinazioni, il pronto soccorso, l'assistenza dei convalescenti, il trattamento dei rifiuti, i parti, il controllo delle nascite e i metodi di aborto.
Dieci anni dopo che la medicina occidentale aveva oltrepassato la seconda soglia, la Cina si metteva a formare un lavoratore sanitario competente per ogni cento cittadini. L'esempio prova che invertire di colpo il funzionamento di una grande istituzione è impresa possibile.(…)Tutte queste critiche si riferiscono ai sintomi di una medicina che prolifera come un tumore maligno e determina l'aumento dei costi e della domanda, generando non benessere ma un generale esser meno.La crisi della medicina ha radici assai più profonde di quanto si potrebbe credere guardando unicamente ai sintomi. Essa infatti è parte integrante della crisi di tutte le istituzioni industriali. Nel campo della sanità si è sviluppata un'organizzazione complessa di specialisti che, finanziata e sostenuta dalla collettività, si è assunta l'impresa di produrre una salute migliore. Il risultato è che ora non si ha più il diritto di dirsi né sani né ammalati: occorre esibire un certificato medico che attesti l'una o l'altra cosa.Addirittura, è al medico, come rappresentante della società, che spetta oggi scegliere l'ora della morte del paziente:come il condannato alla pena capitale, il malato è sottoposto a rigorosa sorveglianza per impedire che accolga la morte quando essa lo ghermisce.
dall'opera "La convivialità"