L’Adriatico muore senza la sua corrente del Golfo

Anche in Italia c'è una piccola corrente del Golfo, un nastro trasportatore di energia che muove le acque del mare impedendo all'Adriatico di trasformarsi in palude. Ma forse, per descrivere questo fenomeno, bisogna già usare l'imperfetto: l'Italia aveva una sua piccola corrente del Golfo. E' scomparsa nel 2003 e da allora i tagli alla ricerca scientifica hanno fatto mancare l'informazione di base.

 

Non è una faccenda di poco conto. Se l'anomalia registrata quattro anni fa dovesse essere già diventata strutturale, o se la progressione del global warming dovesse rendere stabile l'evento, non sarebbe solo Venezia a morire ma l'intero regno marino della Serenissima appassirebbe lentamente, sciogliendosi nella melma delle bolle di mucillagine, delle isole di alghe affioranti, delle chiazze di pesci asfissiati.

L'allarme è stato lanciato ieri, alla vigilia della Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici. Le acque restano troppo calde, la mucillagine compare a gennaio. «Il nostro mare non ha più inverno, la temperatura non scende ed è per questo che siamo arrivati a 530 specie indigene nel Mediterraneo, compreso il pesce palla che è velenoso, alla proliferazione delle alghe killer e a picchi di 60 milioni di meduse in Spagna», ha spiegato Silvio Greco, coordinatore scientifico dell'Icram, l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare. «In Adriatico la mucillagine, un fenomeno tipicamente estivo, quest'anno è comparsa il 21 gennaio. Mentre nel Tirreno meridionale la cosiddetta produzione primaria, cioè la base della ricchezza di vita del mare, è calata del 30 per cento».

Non è più un problema legato solo alle acque superficiali, non si sta scaldando solo la pellicola del mare. Secondo i dati resi noti dal ministero, la temperatura del Tirreno fino a 100 metri di profondità viaggia ormai 2 gradi sopra la media invernale (15 invece di 13). Nell'inverno 2003, nel Golfo di Trieste si è passati dai 5 ai 13 gradi di media. In pratica la bora non riesce più a raffreddare a sufficienza il mare e dunque non si attiva il meccanismo che porta al rimescolamento dei vari strati dell'Adriatico. Le acque restano troppo calde per potersi inabissare dando vita alla corrente fredda di ritorno verso Sud che costituisce il motore del ricambio, il respiro che mantiene vivo il mare.

E, come sempre avviene negli ecosistemi, il danno trascina un altro danno. La mancata risalita dei nutrienti dai fondali, causata dal blocco delle correnti ascensionali, ha provocato un crollo delle microalghe, la base della catena alimentare: il mare ha dovuto cambiare dieta perché le dispense si sono svuotate all'improvviso. Non è finita. Meno cibo e più caldo vuol dire minore capacità di assorbimento di anidride carbonica. Cioè un ulteriore danno, un fattore che va ad aggravare l'accelerazione dell'effetto serra che è la causa del problema. Si calcola che ogni ciclo di scompenso dell'Adriatico fa accumulare in cielo l'anidride carbonica che si libera quando bruciano 5 mila ettari di bosco.

«L'Adriatico rischia di fare la fine del Mar Nero, un bacino chiuso che a una profondità di 150 metri è già morto», ha dichiarato il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. «Si è innescalo un processo con conseguenze potenzialmente devastanti. E, prima che a qualcuno venga in mente di sprecare denaro pubblico proponendo di costruire delle gigantesche macchine per far circolare l'acqua dell'Adriatico, sarà bene ricordare che c'è un medico qualificato egratuito: la natura. Bisogna calibrare l'attività umana per aiutare il mare. Ci vogliono fiumi più puliti e più abbondanti e una pesca intelligente che aiuti il processo di riequilibrio».

11/09/2007 – La Repubblica

Redazione