Massimo Fini – La cultura degli uomini-massa

Siamo pressati. Circondati. Assediati. Dall'incultura, dall'ignoranza, dalla volgarità, dall'idiozia. La tragedia è cominciata col suffragio universale. Perchè, Come scrive Nietzsche, «la verità è che gli uomini non sono uguali». Invece l'esprit de geometrie illuminista ha voluto sacrificare la verità a un'astratta concezione di uguaglianza e di giustizia che ha finito per combinare sconquassi inenarrabili e per tradursi nel suo contrario.

 

Diceva infatti il Sommo Aristotele: «Ingiustizia non è solo trattar gli uguali in modo diseguale, ma anche trattare i diseguali in modo uguale». Non è questione, naturalmente, delle differenze di nascita, di discendenza o di sangue, sciocchezze, queste sì, che proprio l'Illuminismo – qualche merito bisogna pur riconoscerglielo -ha spazzato via, ma della diversa qualità delle intelligenze, delle sensibilità, delle culture.

Oggi qualsiasi bifolco, giocatore assatanato del Superenalotto, cliente di maghi e «previsionisti», telefonista indefesso a tutti gli innumerevoli e demenziali giochi proposti dalla tivù, ciucciatore di Beautiful e di Beverly Hills, fan della Carrà, di Laura Pausini e di Jovanotti, divoratore di Tv Sorrisi e canzoni, spettatore inciuchito di Moby Dick e del Maurizio Costanzo Show, ha pari diritti e pari dignità di un uomo che abbia letto e capito Eraclito, Platone, Tommaso D' Aquino, Kant, Hegel, Heidegger. Ma il bifolco possiede un potere di molto superiore, sia perché è spalleggiato dagli altri come lui, che sono la stragrande maggioranza, sia perché trova chi lo rappresenta politicamente (la democrazia è numero) laddove l'uomo di cultura è un isolato, un single sociale.

Lo so, lo so, che il discorso è ambiguo e pericoloso. Un'intelligenza non si identifica con la cultura e tantomeno con la pseudocultura, da Taitenic, dei nostri giorni. La mia domestica, l' Angela, una lucana antica quanto lo è quel popolo, è quasi analfabeta, ma ha una sapienza e un'intelligenza sconosciute al molto commendevole ed emerito professor Angelo Panebianco che gode fama di grande intellettuale solo perché scrive sciocchezze veterocapitaliste, funzionali agli interessi dei padroni del vapore, sul Corriere della Sera. E allora cosa facciamo, togliamo il diritto di voto all'Angela, solo perché non sa scrivere, e lo lasciamo ad Angelo Panebianco solo perché scrive fesserie? Del resto il problema è reso insolubile dal fatto che non ci sono criteri oggettivi per valutare e misurare l'intelligenza. E nessuno può pretenderla ad arbitro in simili faccende, chi lo facesse dimostrerebbe di essere un vero cretino. La Repubblica dei filosofi, di platonica memoria, è impraticabile, e inoltre ci sono dei filosofi cretinissimi.

Detto questo è però indiscutibile che, in linea generale e sociologica, la democrazia realizzi la prevalenza del cretino e dell'ignorante. Il quale, fattosi massa, ha un enorme potere e lo conferisce a idola pari suo. In fondo la società dello spettacolo si è formata per questo. È la massa adorante che ha dato il potere agli uomini e alle donne dello show-business, ai Magalli, agli Jovanotti, ai Fiorello, ai Santoro, alle Carrà, alle Schiffer, alle Campbell, ai Ronaldo, alle Ronaldine, alle sciacquette televisive, che, insieme all'aristocrazia del denaro di cui fan parte, costituiscono la vera nobiltà e le vere élites del XX secolo. E i politici appartengono a questa élite solo in quanto sono anche protagonisti dello star-system. Se oggi rinascesse Kant vivrebbe, del tutto sconosciuto, in un bilocale di Sesto San Giovanni. La Critica della ragion pura può essere distrutta da una battuta o da un rutto ben riuscito al Costanzo Show. Quando morì Benedetto Croce il Corriere gli dedicò due colonne in prima e la terza pagina, a Lucio Battisti, che era un ottimo cantante ma che, con tutto il rispetto, non ha avuto l'importanza e l'influenza culturale di Croce, sono andate dalle sette alle nove pagine.

L' altro giorno, uscendo dal Costanzo Show, ho visto una folla, immensa, romanesca (quella che dice «Ahò», «amo fatto er corteo», «che t'ho da di'») in attesa spasmodica di Pupo, dicesi Pupo: noi ormai siamo prigionieri di questa folla, che ci spinge, ci sgomita, ci caccia nel ghetto, nella riserva indiana in via di estinzione finché, fra non molto, i pochi rimasti saranno esibiti allo zoo, dietro le sbarre, come residui un po' comici e un po' patetici di un trapassato remoto e sul petto gli appenderanno il cartiglio d'infamia: «Esemplare di uomo colto». Siam noi i paria di questa società, i ciandala, la casta inferiore, irrisa, sbeffeggiata, disprezzata, calpestata. Siamo noi gli indiani d'America del XX secolo. Ecco dove ci ha cacciati la logica del suffragio universale che con troppa generosità e incoscienza concedemmo a suo tempo invece di resistere alle idee moderne e democratiche. Oggi siamo noi i diseguali e i discriminati. Basta. Dobbiamo ribellarci. Munirci di armi e iniziare una sorda lotta clandestina e terrorista. E una volta che avremo preso il potere saremo esigentissimi, spietati. Faremo gli esami. E coloro che non saranno in grado di dimostrare di aver capito i Prolegomeni a ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza (mi dispiace per l' Angela, ma ogni rivoluzione vuole le sue vittime innocenti), le braccia sottratte all'agricoltura che si sono poste come arroganti élites le ricacceremo là dove loro compete: a coltivar patate. Via, marsc, rauss! Ci avete rotto i coglioni.

Da "Il Borghese" del 12/11/1998

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