Dopo la tragica sparatoria di Milano il diessino Valdo Spini si è chiesto "per quali motivi un ergastolano reo confesso fosse in libertà?".
Dovrebbe girare la domanda ai suoi compagni di partito e a se stesso poiché è stata la Sinistra a volere quella legge Gozzini sui benefici carcerari che permette a tipi come Concardi di andarsene a spasso, in piena legittimità. Maurizio Gasparri, di Alleanza Nazionale, strepita che "bisogna porre fino all'automatismo con cui si concedono sconti di pena", ma si deve ad un suo collega di partito quella legge Simeone che col pio fine di permettere a tutti i condannati l'accesso alle pene alternative, impone grottescamente che la sentenza di condanna, perché diventi effettiva, sia consegnata direttamente nelle mani dell'interessato, il quale naturalmente, incredulo di tanta manna, si guarda bene dal farsi trovare. Strilla anche, indignata, Tiziana Maiolo, Forza Italia, dimenticando di essere la campionessa del garantismo in un partito di ipergarantisti.
In Italia per la stragrande maggioranza dei reati, con percentuali che vanno dal 65% degli omicidi al 96% per i furti, non si riesce nemmeno a trovare il colpevole. Nei rari casi in cui si individua le cose vanno però anche peggio. Inizia infatti un defatigante lavoro della macchina della giustizia destinato quasi sempre a risolversi in un nulla di fatto. Il 30% dei processi non arriva a definizione perché, data la lunghezza abnorme dei nostri procedimenti, interviene prima la prescrizione. Ma la lunghezza stessa dei processi, anche qualora non si arrivi alla prescrizione, è di per sé causa di una percentuale altissima di casi di impunità sostanziale, perché il condannato beneficia della sospensione condizionale della pena nonostante abbia altre condanne in appello che però definitive non sono dato che da noi la presunzione di innocenza vale fino al giudizio della Cassazione.
Ma non è finita. Quando l'autore di un crimine è individuato, processato e condannato in via definitiva ciò significa che sconterà la pena? Niente affatto. Secondo un'indagine del Ministero della Giustizia otto condannati su dieci con sentenza passata in giudicato evitano il carcere e, in ogni caso, oltre la metà delle sentenze si rivelano ineseguibili. Come mai? Il fatto è che si è disseminato il nostro sistema giudiziario, processuale e post, di una tale serie di garanzie dal renderlo ineccepibile dal punto di vista della difesa dei diritti del cittadino indagato o condannato ma, nella pratica, del tutto inutile. Ciò è frutto della sovrapposizione allo storico "buonismo" in questa materia, della Sinistra, del "garantismo" scoperto improvvisamente dalla Destra dopo che le indagini e i processi di Mani pulite hanno rivelato che, orrore degli orrori, anche i cittadini "eccellenti" potevano essere chiamati al rispetto della legge.
La Sinistra infatti, per gli echi della sua cultura marxista, è impegnata a tutelare la cosiddetta criminalità comune, di estrazione proletaria, con leggi che mitigano a tal punto la pena fino a farla scomparire. La Destra invece, in virtù della sua cultura borghese, è impegnata sul versante opposto, cioè a salvare i "colletti bianchi", autori di reati di corruzioni o finanziari, con una raffica di leggi dette "garantiste" che prolungano i tempi già biblici del processo e consentono a collegi di difesa ben attrezzati di sottrarre i propri assistiti, anche se colpevoli, al giudizio e ciò con tutti i crismi della legalità. Il risultato è l'impunità per tutti, criminali d'alto bordo e criminali da strada, anche se è quella di questi ultimi a fare più scalpore perché i reati economici e finanziari fanno meno impressione di quelli di sangue anche se non sono meno gravi per il regolare andamento di una società.
Oltre questi due fattori che riguardano l'atteggiamento della Sinistra e della Destra impegnate ciascuna a salvare i "suoi" (se poi un imputato o un condannato appartiene trasversalmente sia alla Sinistra che alla Destra, come Adriano Sofri, allora non bastano nemmeno sette sentenze e un procedimento di revisione per farlo ritenere meritevole della pena), ce n'è un terzo più genericamente culturale che sta alla base di questa situazione disastrosa. Noi italiani abbiamo l'irresistibile esigenza di sentirci più buoni degli altri e i primi della classe. Per cui sforniamo di continuo le "leggi più avanzate" del mondo che sono bellissime, straordinarie, ineccepibili, degne della più grande ammirazione, ma hanno il non trascurabile vizio di non tenere conto della realtà. La Legge 180 che ha sbattuto sulla strada decine di migliaia di ammalati di mente, in nome della libertà, ne è un preclaro esempio e precedente.
Così in materia di giustizia noi abbiamo posto in essere una legislazione da paese scandinavo o che potrebbe andare bene per la popolazione Hunza che in mezzo secolo ha visto solo due omicidi e nemmeno un furto. Purtroppo non siamo l'Islanda o la Danimarca o la Norvegia e non siamo nemmeno degli Hunza. Siamo l'Italia. Un Paese che ha la criminalità organizzata più forte del mondo, divisa in Mafia, Camorra, N'drangheta e Santa Crona Unita, la delinquenza capillare e diffusa di ogni società industriale e un tasso di corruzione della classe dirigente che è inferiore solo a quello di un paio di Paesi del Terzo Mondo come Corea e Malesia. Ma noi continuiamo a comportarci, ragionare e legiferare come se fossimo un Paese ideale, e non l'Italia reale che siamo. Salvo poi scandalizzarci ipocritamente e gettare le colpe sui magistrati che applicano le leggi che noi stessi abbiamo fatto e applaudito, sentendoci tanto buoni, bravi, puri e soprattutto "garantisti", quando un episodio più clamoroso degli altri porta alla luce quella che è semplicemente la normalità. La nostra anormale, italianissima, anormalità, Paese che in nome dello Stato di diritto lo ha eliminato.
Da "Il Giorno" del 08/02/2000