Massimo Fini – Una vita senza emozioni

Il ritrovamento dello scheletro di George Mallory a pochi passi dalla cima dell'Everest, dove l'esploratore era scomparso settantacinque anni fa, senza lasciar traccia, assieme al suo compagno Andrew Irvine, ha riportato a galla, per rimbalzo, il nome di Sir Edmund Hillary, lo scalatore neozelandese che per primo, almeno ufficialmente (se fu Mallory non potè farlo sapere) violò la vetta più alta del mondo. Era il 29 maggio del 1953. Avevo dieci anni. Ricordo perfettamente i titoli a nove colonne dei giornali e il nostro stupore. Eravamo ingenui, allora, e ci stupivamo di tutto.

 

Oggi l'Everest lo scalano in un giorno solo, senza bombole e senza attrezzi, e magari ci aggiungono anche il K2, tanto per gradire. Le una volta inviolabili cime dell'Himalaya, come ha denunciato Messner, sono un immondezzaio, peggio di Milano, tanti sono coloro che vi bivaccano notte e giorno portati dalle agenzie turistiche.

E noi abbiamo perso la capacità e la possibilità di stupirci. Abbiamo scalato tutto, abbiamo esplorato tutto, non c'è angolo della terra dove l'uomo non abbia messo il suo piede, non c'è microcosmo o macrocosmo dove non siano arrivati i nostri microscopi o i nostri telescopi, non c'è pensiero che non sia stato pensato, non c'è romanzo od opera d'arte che non sia stata destrutturata e scomposta in ogni suo elemento, non c'è storia che non sia stata raccontata, non c'è moto dell'animo umano che la psicoanalisi non abbia smontato, non c'è nulla che non sia stato analizzato e razionalizzato.

Anche le grandi imprese individuali sono diventate dei fatti scientifici e tecnologici. Soldini va per mare con una barca di diciotto metri, così attrezzata, tecnologica, computerizza e perfetta che potrebbe guidarla anche un bambino. E quando arriva a destinazione dice: «E tutto merito del lavoro d'equipe». Ma che gusto c'è? Va per mare per cercare gli «interminati spazi» i «sovrumani silenzi» , la «profondissima quiete» della natura, la solitudine, e sta tutto il giorno attaccato al telefonino a parlar con questo e con quello, persino con Stefano Rodi del sito Internet della Gazzetta dello Sport, Ma che senso ha? Stia a casa, che è meglio. O anneghi, una volta per tutte.

Oggi non esiste più l'impresa solitaria, non c'è più alcun Hillary o Mallory o Lindbergh, tutto è preparato, confezionato, deciso e diretto altrove, da equipe di scienziati armati di computer. E l'uomo è diventato un automa, un robot. Lo si vide bene il giorno della conquista della Luna, quel caldo 10 luglio del 1969. L'americano che per primo ci mise il piede (non ne ricordo nemmeno il nome, e anche questo è significativo) disse. «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l'umanità». Può uno andare sulla Luna, vedere da lì la Terra come una palla, i crateri e i deserti o chissà quali altre meraviglie sentire i «sovrumani silenzi», e dire una frase così pomposamente cretina? Poi si seppe che gliela avevano scritta quelli dell'ufficio stampa della Nasa e i think tank di Menlo Park. Uno va sulla Luna e non è nemmeno libero di esprimere le proprie emozioni. Ma probabilmente Alwin (forse si chiamava Alwin o era Armstrong, chi lo ricorda?) non aveva emozioni. Era solo un corpo, un robot, un automa, il terminale di un megacomputer. Avrebbe fatto meglio a restare a casa, anche lui. Avremmo fatto meglio a restare a casa. Tutti. Nelle nostre caverne, in un mondo pieno di insidie, di pericoli, di scoperte, di ignoto, di mistero. E invece abbiamo voluto esplorare tutto, conoscere tutto, vivisezionare tutto.

Là dove un tempo Piccard scendeva con la sua Batisfera negli abissi marini, rischiando di esplodere per la tremenda pressione dell'immensa massa d'acqua, oggi si arriva con la microcamera che mostra anche ai bambini, a casa, i pesci più strani o bizzarri e i modi con cui si fecondano. Un leone non può scopare nella savana che subito gli puntano una telecamera sul buco del culo e lui è anche addestrato ad alzare, compiacente, la coda. E la leonessa fa la parte della cubista. Del resto non esistono più savane, nè tundre, nè foreste. Ci sono i parchi, protetti, recintati, limitati, controllati, codificati. Il mondo è diventato un immenso zoo. Dove la bestia più stupida, feroce o cretina è l'uomo. Perche ha voluto conoscere tutto.

Ma la Scienza, la Tecnica, la Filosofia non danno risposta alle grandi domande di sempre: «Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?» (quelle cui irride beotamente Pazzaglia, una delle tante mostruose creature di Arbore) , tutt'al più, come mi ha detto una volta il filosofo Salvatore Veca (ma era Veca o era Giorello o Zecchi, chi se li ricorda?), servono per «descrivere l'arredo dell'Universo». Ma chi se ne frega dell'«arredo dell'universo» se manca la risposta essenziale. Abbiamo voluto conoscere tutto e adesso quello che ci manca è lo stupore. Lo stupore che, da bambini e da adulti, ci faceva sgranare gli occhi davanti all'impresa di Sir Edmund Hillary, quando l'Everest era ancora l'Everest e il solo nome metteva i brividi, la Luna era ancora la Luna ed esistevano gli arcobaleni e il mostro di Loch Ness. Non è vero, non è vero che l'uomo sia l'essere più evoluto del Creato. L'uomo è una fase involutiva della scimmia e di ogni altra specie vivente. Il leone non è stato così cretino da uscire dalla sua animalità, ma ha avuto la sapienza di restarci. Anche se pure lui, adesso, deve alzare la coda e mostrare il buco del culo alla telecamera.

Da "Il Borghese" del 19/05/1999

Redazione